«Mi auguro che rimangano in carcere a vita». Il giorno dopo il terribile omicidio di Abdoul Guibre, lo sconcerto lascia il posto alla rabbia dei parenti. «È tremendo morire per razzismo - dice il fratello maggiore, Ahmed, 21 anni -. La morte è di tutti, tocca a tutti, ma morire per motivi di razzismo fa molto più male».
La procura di Milano ha escluso la matrice xenofoba, eppure i familiari del diciannovenne ucciso a sprangate non si danno pace per un gesto nel quale comunque scorgono lodio razziale. «Fino a ieri non sapevo di esserlo, ma da ieri mi sento nero. Ho scoperto di essere nero». A parlare è il padre di Abdoul, Hassan Guibre. «Il questore ha spiegato che non si tratta di un episodio di razzismo - continua -, ma allora mi deve spiegare cosè. Sono in Italia da 21 anni e non mi ero mai accorto di essere nero perché in questo Paese non ho mai avuto problemi: da quando hanno ammazzato mio figlio so di esserlo».
Milano, però, non accetta di essere definita città razzista.
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