Il Paese che rifiuta di vivere nello Stato di paura

Il Paese che rifiuta di vivere nello Stato di paura

Sorprende che fra i censori dell’iniziativa del sindaco di Cittadella ci sia il ministro dell’Interno. Ricoprendo quella carica Giuliano Amato dovrebbe conoscere bene - è o non è il suo mestiere? - gli umori del «profondo Nord». Se non gli umori, almeno l’andamento della criminalità, micro e macro, indotto da uno Stato assente o rinunciatario. E il conseguente, generalizzato stato di paura e quindi di sospetto che tormenta i cittadini. Non dubitando che le conosca, quelle cifre, appare singolare che col suo abituale tonetto vacuo liquidi l’ordinanza di Massimo Bitonci come «sorprendente» aggiungendo: «Non si può fare di Cittadella una repubblica diversa dalle altre». Ma cosa ha capito, Giuliano Amato? Quello che Cittadella vuole è esattamente essere come le «altre», dove la sicurezza del cittadino è garantita. E tutelato il suo diritto a vivere senza essere obbligato a barricarsi, guardarsi alle spalle, tenersi lontano da ambulanti e questuanti e spacciatori, dalle bande di clandestini extracomunitari (o ammessi comunitari) i quali, senz’arte né parte, campano di scippi, grassazioni e furti accompagnati da violenze, quando non da volontà omicida.
«Ipocrita e razzista» è stata definita l’ordinanza di Massimo Bitonci, «una campagna di odio verso popoli e minoranze che come i romeni fanno parte della Ue». E allora? Far parte dell’Unione europea si traduce nel diritto al crimine, nella facoltà di vivere di espedienti e fuori dalla legalità?
L’impressione è che la campagna di odio sia invece indirizzata proprio contro i cittadini del «profondo Nord». Già messi in croce come il popolo della partita Iva e di conseguenza popolo di evasori, di parassiti, di marpioni che per non sottomettersi al soave, democratico e salvifico giogo del sindacato limitano le assunzioni di mano d’opera impedendo così la costituzione della rappresentanza interna. Cittadini già vessati dalla cronica mancanza di infrastrutture che strangola le loro attività e questo in un Paese dove l’infrastruttura - ponti, strade, svincoli, poli multifunzionali, arredi urbani e industriali - è accordata con disinvoltura.
Cittadini irrisi per le loro villette, le loro Mercedes, come se non se le fossero guadagnate sputando sangue e, sgobbando, creare benessere contribuendo largamente a quel Pil al quale l’economista Amato guarda come il pastore alla stella di Natale. Ed ora ci si mette l’accusa di razzismo, ci si mette la magistratura con l’informazione di garanzia per Massimo Bitonci pur essendo costretta a riconoscere, per bocca del procuratore di Padova Pietro Calogero, che «l’obiettivo finale» dell’ordinanza è «legittimo».

Ci si mette il ministro degli Interni il quale, invece di affrontare - siamo sempre lì: è il suo lavoro - le cause che hanno indotto il sindaco di Cittadella a firmarla, ironizza sull’ordinanza, trovandola sorprendente. Ma va là, onorevole Amato, dice davvero? Ripeto: lei, Dottor sottile, è sicuro d’aver capito?
Paolo Granzotto

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