Il 2017 è stato l'anno dell'arbitro. E i campi di calcio, purtroppo, non c'entrano nulla. L'arbitro di cui si parla è quello bancario finanziario, un organismo creato da Bankitalia per dirimere le controversie tra clienti e istituti di credito: nel corso dell'anno appena trascorso è stato travolto da 30mila procedimenti pendenti, un aumento di un terzo rispetto al 2016, in cui i ricorsi erano già stati più di 21mila con una crescita che aveva toccato il 59%. Il boom è il sintomo delle difficoltà di risparmiatori e correntisti, messi alle corde dalla crisi delle banche. Ma è anche la consacrazione della «giustizia alternativa», quella che si svolge fuori dalle aule di tribunale. E la svolta ha un punto di partenza semplice: oggi per farsi dare ragione rivolgersi a un giudice può non essere la strada migliore; spesso è molto più utile andare, per l'appunto, da un arbitro. Nel corso del 2016, ultimo anno per cui si hanno cifre complete, le liti affidate ai cosiddetti organismi Adr (quelli che si occupano di «alternative dispute resolution», risoluzione alternativa delle controversie, così suona la terminologia tecnica) sono state in Italia 275mila. Il controvalore delle «querelle» risolte, secondo i dati dell'Isdaci, l'associazione di settore, ha superato i 26 miliardi di euro.
A creare lo spazio per la giustizia alternativa ai tribunali sono stati corposi provvedimenti di legge. Per alleggerire il carico di lavoro dei giudici civili si è stabilito che in molte materie la precondizione per avviare una causa è quella di passare attraverso un tentativo obbligatorio di mediazione. La regola vale, solo per fare qualche esempio, se si litiga per problemi condominiali, per un affitto o perchè si rivendica un diritto di proprietà. Bisogna cercare di mettersi d'accordo anche se si chiede un risarcimento per un errato trattamento medico o se si ritiene di essere vittima di una diffamazione. E si potrebbe continuare a lungo. Un campo particolarmente importante è quello dei rapporti tra clienti e imprese: un decreto del 2015, che attuava una direttiva europea, ha stabilito regole procedure a cui sono tenuti gli arbitri in tema di consumo.
In tutti casi i vantaggi della giustizia alternativa sono chiari: alleggerire i carichi di lavoro dei giudici ordinari, velocizzare i procedimenti, che possono trarre vantaggio da procedure semplificate e da una maggiore competenza specifica degli arbitri. Naturalmente il punto di partenza è l'esistenza di mediatori certificati, in grado, almeno teoricamente, di fornire determinate garanzie di serietà e preparazione. «Di arbitri-mediatori ne sono spuntati tanti, anzi troppi», spiega Stefano Azzali, avvocato, presidente della Camera arbitrale di Milano. A buttarsi nel settore sono stati professionisti, ma anche Onlus e associazioni che si sono affiancati agli organismi creati dagli ordini professionali (di solito avvocati e commercialisti) e a quelli delle Camere di Commercio. Le conseguenze dell'affollamento si sono già fatte sentire: arrivati a un picco di 1200 gli arbitri-mediatori censiti erano scesi a 900 nel 2016, anche se si calcola che quelli realmente attivi siano oggi non più di 600.
La legge ha affidato alle Autorità di settore (Agcom per le telecomunicazioni, Arera per luce e gas, Consob e Bankitalia per finanza e risparmio) la tenuta dei registri dove sono indicati gli arbitri-mediatori autorizzati. Altri registri, per così dire «generali», per le materie in cui non opera un'autorità specifica, sono affidati al Ministero della Giustizia e a quello dello sviluppo economico (per gli organismi Adr attivi in tema di consumo).
Ogni autorità di settore ha poi potenziato i propri servizi arbitrali. In campo finanziario oltre all'arbitro di Bankitalia è attivo dal gennaio dell'anno scorso l'Arbitro della Consob (vedi anche l'altro pezzo in pagina) e quello dell'Anac, l'Autorità anti corruzione. Le controversie in tema di telefoni e pay tv (di competenza dell'Agcom) sono gestite dai 21 Co.Re.Com, Comitati regionali per le Comunicazioni, che nel 2016 hanno gestito la bellezza di 90mila procedimenti con risarcimenti ai clienti per circa 30 milioni di euro. Dal mese prossimo sarà attivata, «Conciliaweb», una procedura completamente online che dovrebbe contribuire a semplificare e velocizzare ulteriormente lo svolgimento delle procedure. Dal 2017 il tentativo di conciliazione è obbligatorio anche per poter avviare una causa per le bollette di luce e gas. Qui il mediatore è il Servizio conciliazione dell'Autorità di settore (da poche settimane si chiama Arera, Autorità di regolamentazione per energia, reti e ambiente). E dal 2018 se l'operatore chiamato in causa non si presenta, a decidere il giudizio è direttamente l'autorità stessa. «È un passaggio importante», spiega Claudia Moretti, avvocato dell'Aduc, associazione dei consumatori con sede a Firenze. «Perchè in realtà bisogna distinguere tra la mediazione e il ruolo di arbitro vero e proprio. Nel primo caso si cerca di promuovere un'intesa tra le parti, ma in mancanza di accordo si va da un giudice. L'arbitro invece ha la possibilità di decidere. E la tendenza che deve prevalere è che i mediatori abbiano sempre più spesso la possibilità di dare un giudizio finale».
Un mondo a parte è poi quello delle controversie legate ad acquisti online. Il tema è particolarmente delicato perchè gli affari conclusi via web hanno molto spesso carattere trasfrontaliero, con il venditore residente in un Paese e il compratore in un altro. Anche per questo l'Unione europea si è occupata in modo particolare del tema creando una piattaforma telematica (Odr, Online Dispute resolution, l'indirizzo web è https://webgate.ec.europa.eu/odr), gestita dalla Commissione di Bruxelles. Una volta collegati si può scegliere l'ente a cui rivolgersi per risolvere la controversia, avviare la procedura che si svolgerà completamente via Internet.
Tra gli arbitri europei c'è anche Risolvionline, il servizio per le risoluzione online delle controversie creato dalla Camera arbitrale di Milano, uno dei colossi del settore in Italia (da sola gestisce il 22% di tutte le procedure delle Camere di Commercio). Qui la differenza con un processo vero non potrebbe essere maggiore: i procedimenti durano al massimo sei mesi, e per una lite di 50mila euro costano in tutto 30 euro.
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