Politica

Un Paese senza centro

Non è possibile attribuire alle debolezze di Angela Merkel e alla consumata capacità politica di Gerhard Schröder il risultato deludente delle elezioni politiche tedesche. Esso indica una crisi più profonda che va alle radici della Costituzione e della storia della Repubblica federale e ci presenta un Germania ingovernabile come nei giorni della Repubblica di Weimar. Questa è la prima volta in cui la frattura tra Germania Ovest e Germania Est si rivela a questo livello, sino a creare un partito a sinistra dei socialdemocratici, forte soprattutto nella ex Repubblica democratica tedesca. Non ha dato nessun frutto la candidatura di una Ossie come Angela Merkel, che aveva avuto un percorso culturale e politico nella Germania Orientale, a cancelliere. Forse invece il liberismo radicale, che domina i Paesi dell'Est dopo la fine del comunismo, ha spinto la Merkel ad indossare i panni della signora Thatcher sino al punto da delineare, nel programma del suo governo, la flat tax al 25% come unica imposta, iniziativa che era stata della leader britannica che le era costata numerosi dissensi interni al suo partito. La riforma, ideata del giurista Paul Kirchoff, possibile ministro delle Finanze del governo Merkel, comportava la cancellazione di 47 piccoli provvedimenti di garanzia fiscale che hanno preoccupato i lettori che ne godevano. La Thatcher non agiva con programmi di governo, dinanzi agli elettori, ma con azioni di governo quando era al potere. L'origine postcomunista della Merkel l'ha posta in un eccesso capitalista. Anche questo fatto è una conseguenza della perfetta fusione delle culture dell'Est e dell'Ovest.
Il governo Schröder ha modificato radicalmente la fisionomia della Germania: ha condotto il suo Paese dal primato dato all'alleanza atlantica e alla Unione Europea verso una Germania che può dire di no agli americani e non legittimarsi più con le istituzioni europee. Ha rotto con i vincoli dell'Occidente che erano parte essenziale della cultura politica tedesca, ma che erano stati propri soprattutto nel lungo governo democristiano. Il consenso nazionale tedesco si è così profondamente modificato. Il rapporto con l'America non era solo una alleanza, era un fondamento di base della legittimità della Repubblica federale, di cui gli americani avevano scritto la Costituzione: l'americanizzazione era la nuova fonte di legittimazione.
I due fatti, la fusione dell'Est e la rottura con l'America, hanno creato una nuova Germania, di cui il cancelliere socialdemocratico è stato l'esponente. Non esiste più quel tessuto comune tra i due maggiori partiti che aveva consentito un pacifico accordo di coabitazione. Inoltre la socialdemocrazia come partito si è spostata a sinistra del cancelliere uscente, che aveva abbandonato a un dirigente sindacale, Multiferding, la segreteria del partito, sicché il partito socialdemocratico non è sulle medesime posizioni del cancelliere.
Il paradosso è che, spezzandosi, il voto socialista ha acquisito maggiore consistenza e al tempo stesso maggiore diversità. Con la Merkel la Cdu è andata a destra mentre i socialisti sono andati a sinistra. Così entra in crisi il concetto di centro, perché i due partiti hanno perso un rapporto di mediazione e si sono spostati verso linee contrapposte. La grande coalizione è a un tempo necessaria e impossibile; ed è altamente rischiosa per la Cdu, che dovrebbe averne, a termine di voti, la direzione con un cancelliere dimezzato dalla sconfitta elettorale. Questo voto tedesco è più grave del no francese alla Costituzione dell'Europa, introduce l'ingovernabilità nel Paese centrale dell'Europa in tempi così drammatici e gravi.


bagetbozzo@ragionpolitica.it

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