Paoloni, sei ore sotto torchio: "Non ho avvelenato i miei compagni"

Sentito il portiere al centro dell’indagine. Scarcerati Giannone, Parlato e Buffone E nel provvedimento il Gip fa capire che adesso l’inchiesta guarda alla serie A

Paoloni, sei ore sotto torchio: 
"Non ho avvelenato i miei compagni"

Si chiude ufficialmente la fase uno, quella che navigava nel mon­do un po’ sfigato della LegaPro e della serie B, tra attaccanti senza sti­pendio e traffichini di provincia; e si apre, altrettanto ufficialmente, la fase due, quella che porterà - o po­trebbe portare - l'indagine su «Tut­to il marcio minuto per minuto» a sbarcare nei piani alti della serie A. A metterlo nero su bianco, dopo una settimana di gossip giudizia­rio, battute più o meno maldestre e fughe in avanti della stampa è uno dei due magistrati che conoscono a menadito le decine di migliaia di pagine dell'inchiesta: Guido Salvi­ni, il giudice per le indagini prelimi­nari che il 28 maggio ha disposto gli arresti di sedici indagati, e che ieri ne ha scarcerati i primi tre. E pro­prio nel provvedimento di scarcera­zione scrive che ormai l’inchiesta guarda più in là: dagli interrogatori è arrivata la «conferma pressocchè nella totalità della sussistenza de­gli episodi di frode sportiva» citati nell’ordine di cattura, e sono stati forniti «ulteriori spunti investigati­vi ».

«Siamo solo agli inizi», gli fa eco il procuratore Di Martino, nel brie­fing con la stampa in cui non rispar­mia una frecciata al governo («più che una task force ci servirebbero i registratori, qui non c’è niente»). Escono dal carcere il commercia­­lista Francesco Giannone, il diretto­re sportivo del Ravenna Giorgio Buffone, il tecnico del Ravenna Gianfranco Parlato. Hanno confes­sato e hanno allargato gli orizzonti. Ma ormai appartengono alla arche­ologia dell’indagine. Come all’ar­cheologia appartiene probabil­mente il ragazzone atletico, le spal­le ampie non incurvate dal carcere, che ieri sera sbuca stremato da sei ore e mezza di interrogatorio da­vanti al pm Roberto Di Martino: è Marco Paoloni, portiere della Cre­monese e poi del Benevento, l’uni­co che finora si era avvalso della fa­coltà di non rispondere. E che inve­ce ieri si sgrava di tutte le sue ango­sce. «Ha tenuto in mano la foto del­la figlia per tutto l’interrogatorio», dice il suo avvocato, ed è indubbia­mente una bella immagine: ma in quelle sei ore Paoloni ha dovuto an­che fare i conti con una posizione processuale non facile, i colossali debiti di gioco, i legami di ferro con i signori del giro.

E la storia più brut­ta di tutte, il tranquillante rifilato a tutta la Cremonese il 14 novembre per farla perdere. Agli atti ci sono intercettazioni che sembrano inca­­strarlo, soprattutto quando rassicu­ra il suo amico Erodiani che le anali­si delle urine non possono rivelare il nome del farmaco usato: eppure, chissà come, pare che ieri da que­sta accusa il portierone si proclami innocente. Giura anche: «Non ho mai giocato per perdere». I tifosi della Cremonese non la pensano proprio così: ma ormai so­no episodi che l’inchiesta ha meta­bolizzato. Con le scarcerazioni di ie­ri e quelle che verosimilmente ver­ranno nei prossimi giorni, la magi­stratura di Cremona archivia la pri­ma fase. In poco più di quattro me­si - l’indagine parte a Natale, e a fi­ne aprile il rapporto della Mobile è pronto - è stato scoperchiato il ver­minaio.

Adesso andare avanti non sarà così facile, perché al telefono non parla più nessuno, i campiona­ti sono fermi, insomma i mezzi clas­sici di indagine sono smussati. Ma gli spunti ci sono. E, confermano ie­ri fonti vicine all’inchiesta, portano esattamente nella direzione an­nunciata dal procuratore Di Marti­no con la sua dichiarazione di po­chi giorni fa: «Abbiamo la sensazio­ne che in serie A a commettere gli illeciti fossero direttamente le so­cietà ». Per quella dichiarazione ie­ri Di Martino viene bacchettato dal presidente dell'Associazione na­zionale magistrati, Palamara, raro caso di sindacalista che maltratta un suo rappresentato. Ma la verità è che la «sensazione» di Di Martino poggia su dati concreti dell’inchie­sta. I nomi delle società di serie A coinvolte sono ormai noti: Lecce, Roma, Fiorentina, Cagliari, Bari, Chievo.

Ma non è detto che l’elen­co non si allunghi. E mano a mano che la chiazza di escherichia si allar­ga sulla serie maggiore, tanto più si rafforzano i dubbi della Procura cremonese sul ruolo svolto dagli or­g­ani della Figc che dovrebbero vigi­lare sulla regolarità dei campiona­ti. Lunedì il procuratore federale Palazzi verrà a Cremona, e non sa­rà certo quella la sede in cui gli ver­rà chiesto conto del suo operato. Ma di episodi dubbi gli inquirenti ne hanno già sul tavolo più di un anno. Ci sono i misteriosi contatti tra Masimo Erodiani, uno dei capi dell’organizzazione, e un collabo­ratore dell’ufficio inchieste, già pri­ma della metà di maggio. C’è la de­nuncia di Daniele Quadrini, che l’11 maggio denuncia alla Figc lete­lefonate minatorie di Erodiani e in­credibilmente viene convocato so­lo per l’ 1 giugno,e poi l’incontro sal­ta perché lo stesso giorno scatta la retata.

E poi c’èla domanda crucia­­le: se in serie A gli scommettitori erano perfettamente a conoscenza (tanto da approfittarne a suon di quattrini) delle pastette che i club organizzavano tra di loro, come mai solo l’ufficio inchieste non si ac­corgeva di niente?

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