Politica

Paradossi di via Nazionale

Sulla vicenda del governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio non c'è un solo, altro giorno da perdere. Domani un Consiglio dei ministri straordinario dovrebbe varare su proposta di Tremonti un emendamento al disegno di legge sul risparmio (da approvare comunque entro l'anno) con nuove regole per la nomina, la durata e la col-legialità dei vertici della Banca.
La questione, come è noto, è formalmente complicata: il governo non può ricorrere ad un decreto legge e non può neppure, con un atto di sacrosanta volontà politica che dovrebbe essere condivisa con l'opposizione, ledere l'autonomia della Banca d'Italia, che è una delle Banche nazionali facenti parte del Sistema europeo di Banche centrali al cui vertice sta la Bce. Proprio l'autonomia della Bce è il principio fondante dell'autorità monetaria nell'Europa dell'euro.
Il paradosso è evidente. Ci vorrà l'assenso di Francoforte per un'impietosa riforma, che si impone da almeno sei mesi per le controscalate parallele di Fiorani & Co su Antonveneta contro gli olandesi di AbnAmro e ancora di Consorte & Co (di nuovo Fiorani & Co) su Bnl contro i baschi del Bbva. Riforma che già due anni fa, sugli scandali del «risparmio tradito», si imponeva al di là di ogni dubbio. Sul paradosso europeo basterà dire che la Bce potrebbe anche intervenire: ma sull'aspetto più strapaesano e disarmante del legame familistico tra Fazio e Fiorani secondo i capi d'accusa della Procura milanese per insider trading, cioè sui provincialissimi regali natalizi al governatore e ai suoi cari, forse di valore superiore ai 150 euro previsti dal codice deontologico della stessa Bce (ancorché culturalmente ispessiti da opere di S. Agostino e S. Tommaso in quantità industriali).
Qui si trova forse un piccolo varco per rafforzare non soltanto l'ipotesi avanzata sabato dal direttore del Giornale, che la fermezza di Fazio davanti al terremoto che scuote il mondo bancario e politico sia dovuta «solo ed esclusivamente al suo distacco dalla realtà», ma anche all'altra, più tragica, proposta da Lamberto Dini che a Via Nazionale fu a lungo Direttore generale. E cioè che la colpa di Fazio sia stata di fidarsi di «alcuni mascalzoni», ladri a quanto pare confessi. Ma proprio qui è il punto che esige una soluzione politica urgentissima, efficiente e drastica. Non dimentichiamo né Cirio, Parmalat, bond argentini ed altre cosette sulla pelle dei risparmiatori (su cui Tremonti voleva andare a fondo e invece... ce lo mandarono), né le corrotte e persino ridicole vicende della difesa dell'«italianità» delle nostre banche, affidata sì a bande di mascalzoni in combutta fra loro e sempre a danno dei risparmiatori, ma anche a ben torbidi intrecci tra affari, politica e... oltre.
La molla per Antonveneta e Bnl è scattata soprattutto per chiudere alla concorrenza il nostro mercato creditizio: tutto, fuorché concorrenza e trasparenza; tutto, fuorché l'interesse basilare della nostra economia e la difesa dei risparmiatori (anzi dei «correntisti», cioè delle persone normali così efficacemente descritte ieri su queste colonne da Stefano Zecchi nel loro rapporto «assolutamente anormale» con le banche). Ecco che allora, davanti all'omertà o peggio del settore creditizio rispetto al dominus monocratico del sistema, è doveroso pensare che questo sistema, alle nostre banche in generale, andasse bene così, nonostante tutto. C'è un'altra cosa, peraltro, da aggiungere a proposito degli intrecci truffaldini tra affari e politica: la perfetta simmetria delle controscalate su Antonveneta e Bnl in fatto di probabili reati, collusioni e interdipendenze varie.
Fazio si sarà anche fidato di «alcuni mascalzoni», ma l'idea di dare una banca di qua (area indistinta fino a un certo punto) e una di là (area politicamente e «culturalmente» ben etichettata a sinistra) è, più che compatibile, purtroppo coerente con le varie ipotesi e con lo... «spirito del luogo». Su Unipol, Consorte & Co si cade anche in una contraddizione in termini parlando di «capitalismo cooperativo», giacché un settore o è capitalista con obiettivo il profitto o è cooperativo, come la sinistra una volta sapeva bene. Oggi la spregiudicatezza o forse i reati sono comuni. Alla fine la questione essenziale, più che l'antitrust, è però la vigilanza bancaria alla quale bisogna provvedere con estremo rigore, in attesa che una crescente integrazione del mercato in concorrenza imponga di trasferirla dal livello nazionale a quello europeo.

Adesso bisogna agire, per uscire al più presto dalle rovine di un'era geologica del tutto incompatibile con la modernizzazione e la crescita dell'economia italiana.

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