Sessant'anni portati con orgoglio. E una visione sempre attuale. Un uomo e una donna valgono quante lingue parlano. In un mondo pluralista e fusionale, dove i confini di Paesi e città perdono sempre di più il loro valore ancestrale, il multilinguismo e la multiculturalità sono strumenti indispensabili per orientarsi, capire e farsi capire.
In mercati e nazioni che cambiano a velocità sempre crescenti e civiltà che s'incontrano e spesso si fondono, una conoscenza a livelli professionali delle lingue diventa sempre più strategica.
È un anniversario, quello della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici Carlo Bo, che corona di successi un percorso iniziato nel 1951, a Milano, con un'altra visione altrettanto avveniristica per il tempo, «far comunicare l'Italia con il resto del mondo, attraverso l'insegnamento delle lingue straniere». Con sedi a Milano, Roma, Bologna, Firenze e Bari, è, oggi, una delle più articolate e specialistiche realtà di formazione linguistica del nostro Paese che, negli anni, ha preparato i migliori interpreti e traduttori italiani.
«Il 2011 è una ricorrenza importante per la SSML Carlo Bo - spiega Paolo Proietti, direttore della Scuola -. Si tratta, infatti, del sessantesimo anno di storia di questa gloriosa realtà di formazione universitaria che, nata come SSIT (Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori), si è sempre caratterizzata per la propria vocazione futurista, per quella sua capacità cioè di cogliere in anticipo sui tempi - fin dal 1951, anno in cui fu fondata dal professor Silvio Baridon, al quale si affiancò subito il grande critico letterario Carlo Bo - l'esigenza di una formazione linguistica ad altissimo livello di specializzazione quale è quella degli interpreti e dei traduttori».
Una nuova civiltà del sapere, in quei primi anni cinquanta? «Una vera e propria fucina per intelligenze vive, si potrebbe dire. Una filosofia applicata alle lingue e alla formazione linguistica delle quali il corso di studi della SSML è, oggi, il risultato. Trasmettere, innanzitutto, la consapevolezza a ogni futuro interprete, traduttore e, recentemente, mediatore linguistico che il processo di formazione non è mai da considerarsi concluso e che, anzi, richiede la costanza dell'aggiornamento permanente e la perseveranza del training continuo. Oggi la professione di interprete si apre più naturalmente verso la libera professione, la prestazione professionale concentrata sullo specifico evento (conferenza, convegno, fiera, ecc.) o sulla specifica commissione editoriale (traduzioni a vario livello)». Ma non solo.
«Il mutato scenario culturale e commerciale contemporaneo, nel quale ogni forma di comunicazione si articola sui principi della velocità e dell'incontro con l'alterità - conclude Proietti - fa emergere un nuovo profilo professionale, quello dell'interprete di comunità, capace di mediare tra lingue e culture, fra transazioni di carattere commerciale, così come in situazioni più delicate nelle quali entrano in gioco la vita, la tutela dei diritti, l'uomo come soggetto.
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