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Sci: Sofia Goggia trionfa nel supergigante di Beaver Creek
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PAROLE AL POTERE

In attesa (urgente) che la Bur ripubblichi i deliziosi racconti dello svizzero Rodolphe Töpffer, inventore del fumetto, possiamo svagarci e sorridere a denti stretti con le raccolte della mostra «Cremona che ride» (nell’ambito della settima edizione della «Notte dei musei»; a cura di Guido Conti e Giorgio Casamatti, dal 13 maggio al 31 luglio, Museo Civico di Cremona). Si tratta di un’esposizione di numeri unici e di giornali satirici, dal Fischietto al celebre Lampione sulle cui pagine Carlo Collodi scatenò la sua vena sarcastica, dalla Strega di Genova al Pappagallo di Bologna.
Era, quella dell’epoca, un’Italia travagliata, sporca, risorgimentale, soggetta a censure e un po’ viziosa, ma pure europea. Giornalisti e inventori di giornali, scrittori e pubblicisti passavano da un editore di satira all’altro, in mezzo a una vitalità stilistica che non risparmiava nessuno: si prendeva in giro tutti. Spesso i conti si regolavano a schiaffi e cazzotti.
Doverosa mostra nella mostra, dunque, «Le Italie di Guareschi», dove troviamo riunite per la prima volta le due «collezioni Guareschi» che hanno per tema l’Italia, una proveniente dalla Fondazione Mondadori, l’altra dall’Archivio dei Ventitré di Roncole Verdi. Nel Dopoguerra - per inciso, dopo due anni di lager - Guareschi aveva proseguito nella sua produzione satirica con diverse centinaia di vignette, distribuite anche su sedici anni di Candido. Personaggio principale, l’Italia: e dal momento che la si deve «ricostruire» dalle macerie, lui la disegna come una bambina. Poi la fa crescere, e infine la ritrae come una vecchia signora maltrattata, come a dire: «povera Repubblica!». Tra vignette più preziose, quella intitolata «Toponomasticatrice». «Guareschi - ci spiega Guido Conti - grazie alla sua straordinaria fantasia e creatività, inventa questa figura mitologica dell’era contemporanea per rappresentare un importante evento politico e culturale. Nell’Italia del dopoguerra è avvenuta infatti una sorta di “epurazione toponomastica” e sono stati spesso eliminati i nomi delle vie riferiti a fatti e personaggi in odore di fascismo. La ferocia iconoclasta di questi provvedimenti, che di fatto cancellano la memoria nazionale, viene rappresentata da uno spietato mostro repubblicano che si nutre coi cartelli delle vie rimosse».


Le ultime vignette in esposizione, disegnate a pennarello e non a china, sono del 1968, anno in cui si chiude davvero l’ultima grande epoca della satira del Belpaese. Poi ci sarà la cosiddetta «comicità», ma di umorismo più nemmeno l’ombra.

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