Pasticcio sui capitali scudati: il prelievo rischia di saltare

I dubbi dei tecnici della Camera sull’imposta retroattiva: "Difficile applicarla". Più poteri per il Fisco: potrà torchiare cittadini e aziende senza alcun limite

Pasticcio sui capitali scudati: il prelievo rischia di saltare

Roma - Professori ma un po’ pasticcioni. Sarà stata senz’altro la fretta con cui il decreto è stato scritto (Giarda se n’è lamentato pubblicamente in conferenza stampa, «se avessimo avuto due mesi in più...»), ma analizzando a freddo il testo vengono fuori dei problemi. Uno riguarda i capitali scudati su cui prelevare quel 1,5% che porterebbe 2,19 miliardi di euro nelle casse pubbliche (ma si ipotizza anche un raddoppio al 3%, pari a 4,3 miliardi). Ebbene, i tecnici del servizio Bilancio di Montecitorio hanno studiato la relazione tecnica del governo trovandoci un po’ di cose che non vanno. Il gettito potenziale stimato dall’esecutivo è corretto con le informazioni sui dati sui capitali rientrati, e anche le previsioni sui soldi che potrebbero rientrare di qui in avanti non fa una piega, ma è l’applicazione pratica dell’imposta straordinaria sui capitali già emersi che potrebbe creare difficoltà.
«Tale situazione - scrivono gli esperti della Camera - potrebbe verificarsi nel caso in cui il contribuente scudato ha investito i capitali emersi in altre attività finanziarie ovvero ha spostato la sua posizione presso un altro intermediario. In tale ultimo caso, in cui il vecchio intermediario non ha la provvista e il nuovo non ha la dichiarazione riservata, non appare chiaro quale debba essere il sostituto di imposta». In parole semplici, chi negli anni scorsi ha fatto rientrare i soldi in Italia, pagando l’imposta prevista da Tremonti, potrebbe nel frattempo averli spostati o investiti, e quindi non sarebbe chiaro in che modo lo Stato potrebbe richiedere il nuovo versamento. Rivalersi sull’intermediario (di solito una banca), chiedendo di segnalare all’Agenzia delle entrate chi ha spostato la provvista? Non è così semplice, perché non è affatto detto - i tecnici chiedono «chiarimenti» in proposito al governo - che l’eventuale segnalazione all’Agenzia delle entrate «sia compatibile con la garanzia di anonimato prevista dalla normativa vigente». Insomma, un pasticcio tutto da chiarire.
Quel che è certo, invece, è che non esisteranno più segreti per il Fisco, almeno per quanto riguarda i cittadini normali. Con la manovra Monti il Fisco potrà guardare in ogni momento nei nostri conti correnti e vedere movimenti e operazioni quasi in tempo reale. Sarà obbligo per le banche inviare periodicamente le informazioni finanziare che ci riguardano al Fisco. Viene invertito il meccanismo: mentre finora era l’Agenzia delle entrate, se insospettita, a chiedere informazioni agli intermediari, ora saranno questi ultimi a informare continuamente lo Stato su quanto spendiamo e come investiamo i nostri soldi. Per stanare, si spera, i milioni di furbi che dichiarano 10 ma spendono 100.
Vita più dura anche per le imprese, sempre con lo stesso obiettivo, la lotta all’evasione, ma con complicazioni immediate per la vita degli imprenditori per bene. La nuova norma abroga infatti una misura introdotta da Tremonti che fissava un codice di comportamento sulla durata dei controlli nelle aziende più piccole e sulla programmazione delle verifiche. Viene cancellato il limite dei 15 giorni per la conclusione dei controlli, e la disposizione sulla cadenza semestrale. In altre parole, mani libere per torchiare le aziende.


Strumenti possibili per la lotta all’evasione, per il momento grane certe in più per imprese e contribuenti, nudi di fronte al Fisco. E l’aumento dell’Irpef? Sembra scongiurato, in compenso il governo studia un aumento delle addizionali regionali. Si punta al record di pressione fiscale in Europa.

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