da Milano
Certo che è impressionante vederla salir su da quella piattaforma al centro del palco assordata da un boato che raramente San Siro ha sentito così caldo. Gente da tutta Italia, ventimila da Milano e il resto da fuori fino ad arrivare ai settantamila che stasera celebrano l'italianità del pop, quello che ormai cantano dappertutto come qui sulle tribune dello stadio, liscio, a squarciagola, divertente. Io canto. «Buonasera Milano», urla lei, ingoiata dal suo bustier di nylon nero che la fa più rock di quel che è, mentre attraversa un palco chilometrico che dall'alto gli elicotteri vedono a forma di V e davanti il pubblico sul prato deve alzare gli occhi fino al cielo per guardarselo tutto. E certo che per i primi due brani, specialmente in Gente, Laura Pausini si tiene nella voce tutta l'emozione di ritrovarsi per una volta, una volta sola, davanti a così tanta gente che batte all'unisono. Destinazione Paradiso. Quando lei canta il classico di Grignani (dall'album Io canto) finalmente la tremarella è scivolata via e sul palco rimane la cantante che è riuscita con il suo personaggio a far ancora meglio che con le canzoni: oggi Laura Pausini è un simbolo di quell'Italia che si è fatta da sola, svincolata dalle beghe politiche e furiosamente avvinghiata ai valori della tradizione, della famiglia, del ritorno a casa dopo il lavoro, della bellezza intesa come pulizia dell'animo innanzitutto.
«Buonasera e benvenuti, sono orgogliosa di rappresentare le mie colleghe italiane perché questa sera io sono la prima donna qui, ma non sarò l'unica. Questo concerto è dedicato a mia nonna, alla mia amica Antonella (Russo, uccisa ad Avellino qualche mese fa - ndr) e a tutte le donne che hanno due palle così». Sarà per questo che, dopo E ritorno da te, lei snocciola un medley che è a sua immagine e somiglianza, mescola l'italiano e lo spagnolo (Mi libre cancion, versione del Mio canto libero di Lucio Battisti), il blues e il francese (Come il sole all'improvviso scritta da Zucchero) e la malinconia e l'italiano di quella Benedetta passione che Vasco Rossi ha scritto per lei pensando alla donna opposta a quelle maledette e perverse che lo hanno sempre ispirato. Laura Pausini è quella della Solitudine, della frase Marco se ne è andato via che qui settantamila persone cantano all'unisono in un coro da partita di calcio esattamente con lo stesso entusiasmo del '93 quando quel brano arrivò a Sanremo per far nascere una stella. Anzi, a dire il vero, l'unica voce che è cambiata da allora è proprio la sua, quella della Pausini, che ha preso i timbri più consapevoli del pop internazionale e la proprietà di chi questo mestiere se lo sente proprio nell'anima sin da bambina. Quando si interrompe la musica e i tre schermi (uno centrale, enorme, gli altri laterali più mignon) lasciano filtrare una clip che sa di video arte, lei inizia a regalare il suo identikit: «Ho dato tutto ciò che potevo, davvero. Mano, cuore, vene, vita». Allora è il momento di dare un'occhiata al palco, che è la palestra di questo concerto: una scalinata al centro, due laterali, una lunga passerella che arriva fin dentro al cuore del pubblico. Più su, nella tribuna, ci sono tra gli altri Piersilvio Berlusconi, Aldo Busi, Antonella Clerici, Valeria Marini, Lele Mora, Anna Falchi, Alessia Marcuzzi, Loredana Bertè, i giocatori del Milan in ordine sparso agli ordini di Ancelotti e infine il cantante della Juventus, Eros Ramazzotti, che avrebbe dovuto duettare con lei e invece no, tutto è sfumato all'ultimo momento.
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