Pd, il partito post-ideologico che nascerà già sorpassato

Il Partito democratico ancora non è nato e già c’è chi ne decreta la morte o, peggio, l’inutilità. Francesco La Camera lo dice con grande chiarezza nel suo saggio appena uscito da Rubbettino: Quale via per il partito democratico. La fusione di post comunisti e post democristiani vorrebbe essere la traduzione in salsa italiana della Terza Via del New Labour di Tony Blair e del Neue Mitte (il nuovo centro) di Gerard Schroeder. Ma siamo, ormai, fuori tempo massimo. Ecco perché la terza via italiana è inutile: «L’impressione è che le politiche progressiste abbiano fallito nel produrre il cambiamento in quanto nelle loro varie sperimentazioni, scontano un’analisi approssimativa delle dinamiche economiche, sociali ed ambientali e della loro possibile evoluzione». In altre parole, quando il Partito democratico, guidato da Walter Veltroni, verrà al mondo, sarà già vecchio perché la sua cultura politica apparterrà non al nuovo millennio bensì al secolo scorso. Nonostante tutte le ciacole che si sentono e si leggono sulla cultura postideologica, il Partito democratico - facendo ruotare tutta la vita intorno al partito - mostra di affondare le sue radici proprio nell’Ideologia.
Ma c’è un’altra contraddizione dei Democratici italiani che merita di essere messa in luce: dal punto di vista pragmatico sono la brutta copia della brutta copia di una politica di centrodestra. Il Partito democratico dovrebbe essere il partito dei riformisti, ma si dà il caso che i riformisti non sappiano fare le riforme, non vogliano fare le riforme, non possano fare le riforme. E la responsabilità non si può far ricadere sempre e soltanto sulla cosiddetta sinistra radicale che, con i suoi veti e i suoi voti e i suoi senatori che soffrono di crisi mistiche ora antiamericane ora antiriformiste, tiene al guinzaglio il governo Prodi. La responsabilità, invece, è da ricercarsi in loco: ossia proprio nella modesta cultura riformista degli ex comunisti e degli ex democristiani. Perché, in fondo, ciò che è successo a sinistra e nella politica italiana è una cosa semplice sia da pensare sia da dire (ecco perché nessuno lo dice): la cultura anticomunista del socialismo del Psi di Craxi è stata uccisa con Craxi. Il risultato è che in Italia a sinistra è ancora difficile parlare con naturalezza di libero mercato, di impresa, di profitto. Ogni qual volta lo si fa scatta il riflesso condizionato per cui la libertà di mercato va bilanciata con la solidarietà, l’impresa va controllata e il profitto va tassato oltre misura in omaggio al mito (perché solo un mito è) della redistribuzione. Tuttavia, una volta reso omaggio all’ipocrisia del solidarismo e dell’egualitarismo bisogna fare i conti con la realtà che, per fortuna, è fatta di libertà, mercato, iniziativa.

Così in Italia si assiste allo strano fenomeno di una sinistra che utilizzando ancora il vocabolario della politica ideologica ma cercando di fare i conti con la realtà del mercato mondiale è diventata transgender: ossia non sa più cosa realmente sia. Problema molto serio per una forza politica che di per sé vorrebbe essere una cosa nuova di sinistra da utilizzare per fare cose di destra.

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