Pd, è tutti contro tutti. E tutti contro Veltroni

Guerra aperta fra i democratici. Dietro alle liti per la legge elettorale europea la scalata alla segreteria. D'Alema: progetto incompiuto. Monaco: partito mai partito. E Walter si sfoga: «Quella di bruciare un leader dietro l'altro è una delle cattive abitudini del centrosinistra»

Si fossero visti a colazione, magari avrebbero pure potuto tentare di accorciare le distanze. Invece si sono inseguiti con svariate interviste ai giornali, rilasciate tutte nello stesso giorno e tutte con toni che definir diversi è un eufemismo, restituendo del «loro» Pd l'immagine di un partito alla frutta. Pareva si rispondessero, stamattina, da una paginata all'altra. Il più duro, al solito è stato Massimo D'Alema, che dalle colonne del Messaggero l'ha messa così: «Dal Pd non si torna indietro, l'idea che Ds e Margherita possano materializzarsi di nuovo è sciocca e irrealistica». Epperò, ha graffiato il lìder Maximo: il partito è un «progetto ancora incompiuto». Più che incompiuto il Pd è un «partito...mai partito» ha commentato l'ulivista Franco Monaco, ricordando il peccato originale di «primarie ridotte a rito plebiscitario a sostegno del candidato unico». Era solo l'inizio. Perché l'ex ministro degli Esteri non ha mancato di mettere il dito nella piaga dell'ultima diatriba, la legge elettorale per le europee con le sue conseguenze politiche sulle possibili alleanze: «Il compromesso sulla soglia del 4 per cento in sé è accettabile, ma ci conviene? Rischiamo conseguenze politiche pesanti», là dove D'Alema è convinto che il Pd debba rinunciare all'«improponibile patto a due con l'Idv» e tornare a guadare alle «altre forze di opposizione». Più o meno nelle stesse ore, però, il leader Walter Veltroni diceva al mensile free press Pocket che no, dal 4 per cento non si deroga, e se si deroga tanti saluti all'accordo sulla nuova legge, «si andrà a votare con quella che c'è». Il tutto mentre, dalle colonne del Corriere della Sera, Giuseppe Fioroni replicava in anticipo: D'Alema propone la soglia al 3 per cento «per far saltare la riforma», e commentava così la candidatura di Pierluigi Bersani alla segreteria del Pd: «È come fare la cosa sbagliata al momento sbagliato». Sì, perché le due questioni, legge elettorale per le europee e leadership del Pd, sono strettamente collegate, come avverte il deputato Giorgio Merlo: «Per qualcuno l'obiettivo è solo liquidare Veltroni. Altroché sistema elettorale», definendo «insopportabile» il gioco al massacro per cui «si trasforma ogni tema all'ordine del giorno, in questo caso il sistema elettorale per le europee, in una resa dei conti all'interno del Pd per sfiduciare anticipatamente Veltroni». E ha un bel da fare Bersani a dire, questa volta all'Unità, che «la mia candidatura alla segreteria non è all'ordine del giorno».

Veltroni sa che l'assalto alla diligenza è incominciato, e infatti dice: «Quella di bruciare un leader dietro l'altro è una delle cattive abitudini del centrosinistra: credo che una leadership abbia bisogno di tempo per affermarsi, come è successo nel resto d'Europa e nel mondo a grandi protagonisti politici. Blair ha impiegato anni a costruire il New labour prima di vincere, Lula è diventato presidente alla quarta candidatura. Comunque, per noi, deciderà il congresso del prossimo autunno». Arrivarci.

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