Milano - C’è il taglio del nastro, come in tutte le inaugurazioni che si rispettino. Si inaugura la prima festa nazionale del Pdl. Un bel nastro tricolore, quello che infastidisce la Lega e che invece riempie di orgoglio Ignazio La Russa, padrone di casa oltre che uno dei triumviri del partito. E poi c’è l’inno e anche la medaglia d’oro, quella di Gianfranco Paglia che commemora i caduti delle Forze Armate. La Russa quasi si commuove, lui che dice di osservare la situazione del partito «dal buco della serratura del ministero della Difesa».
Tutto molto ufficiale, al Palalido. Grisaglie e tailleur, cravatte e tacchi alti, ministri, parlamentari, amministratori locali: è il popolo berlusconiano radunato a Milano. Grandi tendoni trasparenti, tavole apparecchiate con tovaglie bianche invece dei banconi da sagra di paese che trionfano altrove, ristorante e pizzeria da mille coperti, serata con i Gatti di Vicolo Miracoli riuniti per l’occasione con Smaila, Calà, Salerno e Oppini, l’ex marito della Parietti, la «coscialunga della sinistra». Gli stand gastronomici hanno tutti l’«imprinting» lombardo, mentre sul banco dei libri troneggiano Solzenicyn e Nietzsche, McCarthy e il Libro nero del comunismo, Popper e Tolkien, i dvd di Katyn e di Don Camillo.
Dietro le quinte si vede la mano di La Russa, che a Milano non ha mai fatto mancare la Festa tricolore. Ma quest’anno è tutto nuovo, una festa nuova che si chiama Festa della Libertà, e un partito nuovo che in pochi mesi di vita ha già vinto elezioni, ridisegnato le amministrazioni locali di mezza Italia, insediato migliaia di quadri regionali e provinciali, e ha anche già cominciato a discutere. Ma l’aria che si respira è di unità, a cominciare dal duetto tra lo stesso La Russa e Sandro Bondi, ministri-coordinatori. I quali si sono divisi la parte con maestria: all’ex azzurro le bordate contro l’opposizione, all’ex luogotenente di Gianfranco Fini le questioni interne.
Il confronto tra il premier e il presidente della Camera, che ha tenuto banco per giorni, rimane sullo sfondo. I nomi di Fini e Berlusconi giganteggiano all’ingresso del Palalido, due enormi striscioni uno sopra l’altro annunciano che il primo parlerà sabato pomeriggio e il secondo concluderà la festa domenica alle 18. In mezzo restano quattro giorni di incontri e spettacoli nei quali sfileranno tutti i ministri. «Il Pdl è stato fondato da Berlusconi, che è il capo, e co-fondato da Fini; tra un po’ non sarà più una notizia che loro due, come è logico e naturale, si incontrino. Il fatto che si consultino prima delle decisioni è assolutamente normale - è il ragionamento di La Russa - e mi auguro che le stranezze, anche di comunicazione o giornalistiche, siano esaurite».
Dai leader del Pdl escono soltanto parole come «armonia e concordia», «d’amore e d’accordo». La questione più scottante sul tappeto è rappresentata dalle candidature alle regionali. E viene trattata con ottimismo e prudenza. «Non ci saranno vincitori o vinti - garantisce La Russa -. I nomi usciranno a fine ottobre, non abbiamo mai detto che le candidature sarebbero uscite adesso». C’è tempo, non è questo il momento delle scelte irrevocabili. «Ora non c’è un accordo, ma questo non vuol dire che ci sia disaccordo. Faremo un’istruttoria che terminerà a metà ottobre e poi ci incontreremo con gli amici della Lega Nord per definire tutto - precisa il ministro della Difesa -. Non dobbiamo decidere i candidati del Pdl ma quelli del centrodestra e lo faremo d’accordo come abbiamo fatto alla tornata amministrativa passata che ci ha visto vincitori».
Con un’eccezione, la Lombardia: dove, a sentire il governatore Roberto Formigoni, «tutto è deciso e si tratta di definire gli ultimi particolari. Pdl e Lega saremo due partiti differenti ma stretti da un patto di coalizione che funziona benissimo in particolare qui in Lombardia. L’accordo è molto più avanzato di quanto trapela all’esterno. Vinceremo in tutte le regioni già conquistate e ne aggiungeremo altre».
Bondi invece esclude ogni possibilità di dialogo con il Pd finché i democratici saranno alleati «con chi si comporta come un bandito, cioè Di Pietro. Rompere l’accordo con l’Italia dei valori sarebbe «l’unico cambiamento che potrebbero fare subito.
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