Perché a Genova è vietato parlare di mercato del lavoro?

Perché a Genova è vietato parlare di mercato del lavoro?

(...) E proprio a Borzani e alla Fondazione per la Cultura di Palazzo Ducale va il mio invito ad occuparsi di questi temi. Dando voce a tutti, al Sergio Cofferati che definì «limaccioso» il libro bianco di Marco Biagi, ma anche ai Pietro Ichino e ai Maurizio Sacconi. E qui non è questione di destra e di sinistra, di confronto sulle etichette, roba passata e ormai del secolo e del millennio scorsi, ma proprio di contenuti. Proprio quello che ama Borzani.
Penso anche che un dibattito così alto sui temi del mercato del lavoro potrebbe coinvolgere anche la Fondazione Edoardo Garrone, guidata da Duccio e da un ottimo direttore come Paolo Corradi, che ovviamente nella trattazione dei temi forti economici hanno uno dei loro fiori all’occhiello.
Garrone e Corradi, due benemeriti della cultura genovese (anche perchè si tratta di uno dei pochi casi di mecenatismo vero, alla faccia di tanti che parlano di cultura senza aprire il portafoglio e hanno anche il coraggio di dare i voti agli altri, facendo liste di buoni e cattivi), fra l’altro hanno nella loro squadra Gibì Pittaluga, il «Pitta», che è il miglior divulgatore economico sulla piazza, capace di abbinare rigore scientifico e chiarezza nell’esposizione. Uno che, fin dai tempi dell’università, riusciva a tenere desta l’attenzione di chi ascoltava e spesso rimaneva a bocca aperta per la capacità di farsi capire e di farsi ascoltare del «Pitta», ancora non convertito alla politica di Biasotti prima e di Burlando poi. E il fatto che si sia ricandidato dall’altra parte solo dopo essersi sudato le preferenze, con i voti degli elettori e non con il trasloco dei voti da un lato all’altro, e pure il fatto che abbia rotto sia con uno, sia con l’altro, testimoniano a favore della sua grande onestà intellettuale. Uno serio.
Però, nonostante queste credenziali degne dei migliori curriculum, di mercato del lavoro a Genova non si parla. E l’unico ciclo economico, studiato da Luca Borzani e Lorenzo Caselli, in collaborazione con la Fondazione Edoardo Garrone e con la Fondazione Ansaldo, è «Sopravvivere alla crisi - Cause ed effetti dello tsunami economico». Tema interessantissimo, per carità, su cui relazioneranno Innocenzo Cipolletta, Tito Boeri, Giulio Sapelli e Luciano Gallino, con il terzo in pole position nelle mie preferenze. Tema interessantissimo che, da gennaio a marzo, partirà dal racconto storico della Grande Depressione del 1929, per arrivare alla ricerca delle cause e dei responsabili della crisi, fino al confronto fra Occidente, Cina, India e Brasile.
Su, su fino alle domande delle domande: «Ci sarà il default italiano?». E «Soprattutto come è possibile uscire dalla crisi?».
Non so se da questo ciclo di lezioni di Fondazione per la Cultura, Feg e Fondazione Ansaldo a Palazzo Ducale usciranno le risposte e gli strumenti «per comprendere il momento più difficile della nostra vita economica e sociale dalla fine del secondo dopoguerra».

So però che, probabilmente, parlare della riforma del mercato del lavoro e della vischiosità di un modo di ragionare basato su un modello di fabbrica novecentesco e fordista, è uno dei modi per cercare di rispondere alla crisi.
E sarebbe bello almeno provare a farlo. Anche se è scomodo, me ne rendo conto. Soprattutto a Genova. Ma chi non ha il coraggio di fare discorsi scomodi, allora taccia per sempre.

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