Perché i derivati non sono il mostro della finanza

Il processo a carico di dirigenti di importanti banche riguardanti i derivati che il comune di Milano ha comperato per il proprio debito pubblico, qualunque sia il merito penale della vicenda, ha messo in luce un comportamento sbagliato. Sembra che ci siano 9 miliardi di euro di debiti degli enti locali, oggetto di analoghe indagini, in sette Regioni e 28 Comuni, il 23% dei contratti di derivati stipulati dagli enti locali prima del divieto di utilizzarli.
Prima di spiegare perché è bene che queste pratiche per il debito pubblico siano state vietate, bisogna aggiungere che sarebbe sbagliato, però, criminalizzare i derivati come tali. Essi sono uno strumento molto utile. E la nuova finanza non è lo sterco del demonio, è una attività innovativa che merita di essere tutelata dagli imbrogli, ma va anche tutelata dalla caccia alle streghe. I derivati di cui si discute sono, semplicemente, prestiti a tasso variabile, con il tasso di interesse determinato da un fenomeno diverso che cioè «deriva» dal tasso di interesse di altri titoli. I dirigenti di Milano e di altri Comuni, in un’epoca in cui il tasso di interesse di mercato era molto basso, hanno ricevuto da Deutsche Bank e altre banche l’offerta di convertire i prestiti a tasso fisso, in prestiti a tasso variabile, che comportavano, nell’immediato, un tasso più basso, ma che potevano dar luogo in futuro a un tasso più alto. Apparentemente, si tratta di un cambiamento alla pari, perché si converte un debito con costo certo di interessi, in un debito con costo incerto, che dovrebbe dare un beneficio nullo. Ma una operazione che trasforma una attività sicura in una rischiosa, per un pubblico amministratore è anomala, perché egli rischia i soldi del contribuente, non i suoi e quindi non dovrebbe assumere rischi, ma operare sul sicuro.
In realtà, se si fa questa conversione quando il tasso è molto basso, si ottiene un vantaggio presente con il rischio di un onere futuro. E in questo modo, si passa un po’ dell’onere del debito presente sul futuro. Il che ha un costo, perché se la banca ci perde nel presente e accetta di prendere a suo carico il debito presente a un tasso alto in cambio di un credito a proprio favore a un tasso basso, pensa che in futuro il tasso salirà in modo da compensare l’attuale «sconto». E per guadagnarci deve calcolare un tasso di interesse sulla perdita presente di interessi che subisce e di cui spera di ripagarsi in futuro, quando il rendimento salirà.
Dunque il derivato nasconde la dilazione di un prestito, pagata con tasso di interesse sulla dilazione, nascosto nelle modalità con cui si converte il debito di tipo ordinario in debito di tipo derivato. Ma chi contrae un mutuo per un immobile e versa adesso una parte in contanti può avere buoni motivi, in periodo di bassi tassi, per optare per la differenza, per un prestito a tasso variabile, che spalma una parte dell’onere di interessi sul futuro, dato il grosso sacrificio presente. Chi esporta nell'area del dollaro può farsi pagare non in dollari, ma in una unità monetaria convenzionale derivata, fatta di un misto fra la quotazione del dollaro e dell’euro, per ridurre il rischio del cambio. In genere i derivati che riducono il rischio equivalgono ad assicurarsi.

Quelli che lo aumentano equivalgono a fare una assicurazione agli altri, facendosi dare un premio oggi, in cambio del rischio di un onere futuro.
La guerra ai derivati nell’economia di mercato, dunque, è una pessima cosa.

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