La buona notizia è che il nostro mercato editoriale è florido e in ottime condizioni di salute. La notizia pessima è che - riguardo alla lettura - lItalia è messa malissimo. Sembra una contraddizione di termini e non lo è: la nostra editoria va bene proprio perché avere un mercato ristretto e intensivo è più comodo e vantaggioso che avere un mercato largo e disperso.
Lo ha detto ieri Gian Arturo Ferrari, direttore generale della divisione libri del Gruppo Mondadori, presentando la terza ricerca biennale sul mercato librario commissionata alla Ipsos dalla stessa Mondadori. Nel 2003 chi dichiarava di non leggere neppure un libro lanno era il 61 per cento della popolazione, salito al 62 per cento questanno. Gli acquirenti di libri appartengono sempre più alla classe socioeconomica superiore (dal 50 per cento del 2003 al 60 di oggi), mentre quelli della classe socioeconomica inferiore passano dal 14 per cento al 10. E, ancora una volta, se leditoria come mercato ne guadagna in fatturato è un segnale allarmante per le condizioni generali del Paese, perché è evidente che dove si riducono i redditi, si riducono subito le spese per quello che viene considerato un genere voluttuario e rinunciabile. La controprova è che il mercato è crollato al Sud (dal 32 al 24 per cento) mentre ha avuto un lieve miglioramento al Nord e al Centro.
Anche se lindagine è commissionata dal più grande editore italiano e può avere qualche vizio di origine, risulta che a scoraggiare lacquisto non è il prezzo dei libri (mediamente di circa 16 euro) né il sistema distributivo. Se non è ancora decollata come in altri Paesi la vendita via Internet (2 per cento contro il 10 della Gran Bretagna), il 72 per cento dei volumi viene venduto nelle librerie tradizionali o nelle megalibrerie, mentre quelli a prezzi scontati degli ipermercati sono soltanto il 14 per cento e quelli reperibili a prezzo molto basso nelle edicole appena l8 per cento, per di più accaparrati in buona parte dai lettori «forti», piuttosto che da quelli «deboli».
I lettori «forti» sono quelli che leggono da 11 a 20 libri lanno, e sono in calo dal 4 al 3 per cento. I lettori «fortissimi» (più di 20 libri lanno) sono addirittura dimezzati, dal 2 all1 per cento. Quelli «deboli» (da 1-2 libri lanno) crollano dal 49 al 39 per cento e lunico dato consolante, sul quale si regge leditoria, è che i lettori «medi» (da 3 a 10 libri lanno) sono aumentati dal 45 al 57 per cento. Sì, ma è tragico che si debba considerare «lettore medio» chi consuma da 3 a 5 libri lanno, ovvero il 40 per cento del totale. Tanto più che lofferta è vastissima, economicamente e culturalmente alla portata di tutti.
Ma allora, perché 29 milioni di italiani adulti, su 48 milioni, non leggono libri? Secondo la ricerca della Mondadori, il 33 per cento di loro considera il leggere come un «sottrarre tempo a altre attività importanti»; il 16 per cento non vuole «sottrarre tempo a attività divertenti»; per il 12 per cento leggere significa «sprecare tempo»; il 15 lo trova noioso, il 14 faticoso, mentre un 21 per cento si trincera dietro «motivi di vista», come non fossero stati inventati gli occhiali. In realtà la risposta giusta e più profondamente vera la dà un non lettore su cinque: «Leggere è pesante perché mi ricorda la scuola».
È a scuola che, paradossalmente, si perde il gusto per la lettura. È a scuola che la lettura diventa unimposizione noiosa piuttosto che un arricchimento e un piacere. Ed è sempre la scuola che ti fa leggere non ciò che è bello e ciò che piace ma ciò che «bisogna» leggere: valga per tutti lesempio dei Promessi sposi o, per passare ai contemporanei, Calvino e Sciascia.
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