Perché offendere la fede cattolica non fa «notizia»

Bruno Fasani

Mi scrive un giovane amico aretino: «Giorni fa, in occasione di Arezzo Wave, rassegna di musica rock famosa in tutto il mondo, un gruppo, sconosciuto ai più, ha intonato una canzone il cui ritornello è una bestemmia alla Madonna, rigorosamente in italiano. Tutto per la gioia di giovani estasiati ed esaltati che la ripetevano a gran voce. La stampa locale non ne ha dato la minima notizia. A tavolino si è deciso che Arezzo Wave (patrocinato da Comune, Provincia e Regione) è andato benone, molto meglio di quando la città era governata dal Centrodestra».
Trovo la stessa notizia sulle pagine di Avvenire, dove un lettore esprime il proprio disagio per l’accaduto. Sempre sul quotidiano cattolico c’è anche la replica del direttore artistico della rassegna, Dario Valenti, il quale prende atto che un gruppo «avrebbe pronunciato parole ingiuriose dal palco del Festival». Un episodio sgradevole, compensato ­ sono sempre le parole del direttore ­ dallo spirito umanitario della manifestazione che, in questi anni, ha erogato 100 mila euro in opere sociali e umanitarie.
Innanzitutto sgombriamo il campo da qualsiasi condizionale. Il gruppo è quello dei Gogol Bordello, otto giovani russi, ucraini e israeliani, che si sono dati questo nome in omaggio al noto scrittore e ai temi scomodi e sotterranei che questi affrontava. La canzone è Santa Marinella, cantata in ucraino ma con il ritornello in italiano, costituito appunto da una «smoccolata» contro la Madonna.
Sono due gli interrogativi che mi pongo. Il primo a partire dal clima di indifferenza che aleggia intorno al «sacro cattolico». Dalla pubblicità che strumentalizza e ironizza sui luoghi comuni del cristianesimo, ai rosari decorativi di D&G, dall’utilizzo profano dell’oggettistica religiosa, fino alle bestemmie urlate sulla piazza. Non sono passati molti anni da quando una nota azienda tessile italiana dovette ritirare una partita mondiale di magliette, riportanti ingenue e pudiche frasi coraniche. I musulmani minacciarono sfracelli e lor signori, più contriti che convinti, misero le pive in sacco, con tanto di scuse. Qualcuno azzardò timide critiche a tanto rigoroso fondamentalismo. Ma i più, soprattutto a sinistra, ricordarono che la religione è quanto di più intimo caratterizzi il cuore umano e rispettarla è tutela dell’identità personale. Parole sante.
Indifferenza, dicevo. Penso ai giovani acclamanti sotto il palco di Arezzo. Malamente addestrati a credere che bestemmiare sia lo stesso che pregare, che darsi dei limiti sia lo stesso che farsi una riga di coca, che avere una morale sia l’equivalente del nulla etico, che essere cattolici, testimoni di Geova o musulmani sia la stessa cosa. Indifferenza, sempre più intesa come assenza di differenza, ossia mancanza di identità, per mettere in piedi una corte di comparse, pronte a battere le mani al primo trampoliere di un qualsiasi circo Barnum.
La seconda riflessione mi viene dalla replica del direttore di Arezzo Wave, là dove attesta che dalla città toscana sono partiti 100 mila euro per cause umanitarie. Ancora una volta una lettura economicistica della povertà, intenta a distribuire il superfluo del portamonete ma indifferente alle povertà morali che si costruiscono nelle coscienze dei giovani, dietro il nobile pretesto di farli divertire. Divertirsi da morire, come si dice con facile slogan, ma ormai divenuto il profilo realistico di un processo educativo degenerato.

Giovani che in percentuali sempre più cospicue fanno ricorso a psicofarmaci, stupefacenti e a quanto possa dare l’impressione di un momentaneo stordimento dei morsi del nulla. Un male di vivere che non si cura né con la beneficenza né con slogan contro la Madonna.

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