Cultura e Spettacoli

Con la Pfm e Patti Smith il rock incontra la poesia

Concerto con i suoi classici nel giorno del compleanno di De André

Antonio Lodetti

da Milano

In sala c’è l’atmosfera commossa ed elettrica della celebrazione ma anche quella gioiosa della festa: e quindi festa sia. In perfetto equilibrio tra questi stati d’animo sabato sera, al Teatro Nazionale di Milano, la Pfm ha festeggiato il sessantaseiesimo compleanno di Fabrizio De André con ospite speciale la sacerdotessa maudit Patti Smith. Venerdì invece la band milanese aveva coinvolto sul palco Morgan, Cristina Donà, Dolcenera, le Balentes in una dotta rielaborazione dei brani del cantautore genovese. Sabato il grande evento «Buon compleanno Faber» in un parterre che vedeva in prima fila Dori Ghezzi, Fernanda Pivano, Shel Shapiro (che ha scritto il testo in inglese di Amore che vieni amore che vai per Patti Smith) e tanti altri amici di Faber, l’«Amico fragile». «Altro che fragile - ha esordito Franz Di Cioccio - proprio lui che ha dato forza e voce a tutti gli ultimi», e via sulle note vibranti di Bocca di rosa, che tagliano l’andamento popolaresco con il pulsare del rock.
Gli arrangiamenti dei brani, leggermente attualizzati, sono quelli che la Pfm scrisse per i due album dal vivo e per la tournée con Fabrizio del 1979; in Italia le collaborazioni tra gruppi rock e musica d’autore erano ancora fantascienza. «Ma Fabrizio incarnava ciò che di poetico ciascuno di noi portava dentro», dice Di Cioccio. «D’altra parte - sottolinea Mussida - proprio in quel periodo De André decise di dare una veste più elaborata musicalmente ai suoi brani in concerto». Così sono rinate classiche ballate deandreiane con arrangiamenti complessi ma mai ridondanti, ricchi e generosi nello spaziare dall’urgenza del rock all’eloquenza del barocco. La Pfm (non scopriamo certo oggi la sua classe) sa picchiare duro quando è il momento ma soprattutto sa frenare e giocare sulle emozioni con le tinte pastello. Nella varietà delle inflessioni e dei contrasti c’è spazio per l’improvvisazione che accompagna Amico fragile («il più bell’autoritratto in musica che io abbia mai ascoltato» lo definisce Di Cioccio), per gli incroci tra folk e Dvorak che segnano Un giudice (con Flavio Premoli alla fisarmonica), per gli echi popolari e countreggianti di Zirichiltaggia e Volta la carta fino ad arrivare al melanconico pathos di Giugno 73 e Canzone di Marinella affidate al canto colloquiale di Mussida («questi due brani mi turbano molto; il primo perché racconta il De André più privato, il secondo perché quando lo interpreto lo sento qui sul palco accanto a me», commenta Mussida).
Dopo undici brani - sottolineati sullo sfondo dalle magnifiche foto d’epoca di Guido Harari - Di Cioccio annuncia: «Con lei e Fabrizio si chiude il cerchio della poesia, signori Patti Smith». E lei sale sul palco, segaligna, assorta, in camicia bianca, giacca troppo ampia e cravatta entrambe nere, infiammando un pubblico già in visibilio (sostenuta da una Pfm in grandissimo spolvero) regalando la ruvida Trespassing, la lenta ballata Gone Again e la sua cover di Amore che vieni amore che vai (l’ultima strofa in italiano) prima di dedicare «a Fabbrisio e Dori» il potente inno Because the Night. Si concede con trasporto controllato e se ne va di corsa tra gli applausi lasciando la scia della sua presenza, delle affinità con Faber: il cantare con la pancia e con il cuore, il sublimare sofferenza ed emarginazione, il trarre ispirazione dalla cultura popolare mescolata con il respiro dell’élite intellettuale.
È proprio nel momento in cui lascia la scena che lei e Faber si incontrano idealmente; due spiriti liberi che aleggiano sul palco. Un momento di riflessione e di ricordi che la Pfm attizza intonando un’elegiaca versione del classico Impressioni di settembre per poi buttarsi su un clima più ludico con È festa. Ma il finale è ancora tutto per Faber con la pensosa rilettura de Il pescatore e di Andrea, che aveva aperto il concerto.

La Pfm con sapienza e slancio celebrativo ha schivato il rischio della cerimonia nostalgica pur lasciando spazio al sentimento, all’emozione, alla riflessione, riconciliando per l’ennesima volta rock e poesia come sarebbe piaciuto ancora oggi a De André.

Commenti