Linflazione, è ovvio, non si può stabilire per legge. Non ci può essere una norma che reciti: «Lanno prossimo il livello generale dei prezzi salirà dellX per cento». Eppure in Italia vi è un numeretto che ogni anno il governo stabilisce, proprio per legge, nel Documento di programmazione economica e finanziaria, e che ha una grande influenza nel tenere a bada la corsa dei prezzi: è la cosiddetta inflazione programmata. Su questa cifra magica si giocano tutti i rinnovi contrattuali. Sia per i privati sia per i 3,6 milioni di dipendenti pubblici. Intorno a questa cifra ruotano le trattative tra sindacati e datori di lavoro. Il governo Berlusconi lha fissata all1,7 per cento: circa la metà dellinflazione attesa e fino ad ora ufficialmente raggiunta. Ciò vuol dire che in sede di contrattazione, se si dovesse prendere per buono questo numero, sarebbe difficile rimettere in busta paga ciò che il maggior costo della vita si è mangiato. Tutto male? No, al contrario. Tanto che tutti i governi hanno abbondantemente sottostimato nei propri Dpef linflazione reale.
La ragione sostanziale per la quale si utilizza questo trucchetto, è che il concetto di inflazione programmata è una follia. La recente storia economica dimostra che anticipare linflazione nelle buste paga dei lavoratori dipendenti alla fine ha un effetto negativo per i dipendenti stessi. Si innesca un meccanismo di rincorsa prezzi-salari-prezzi in cui lanello debole resta quello del lavoratore che vede crescere i salari nominali, sempre e comunque in ritardo rispetto al mercato dei beni di consumo.
Sottostimare linflazione nei documenti governativi ha però avuto negli anni (dal 1993 quando si è inventato questo meccanismo) leffetto indesiderato di creare un indissolubile matrimonio tra bassi salari e bassa produttività. Limpianto della contrattazione in Italia resta centralizzato e collettivo ancorato solo al numeretto magico e dunque incapace di remunerare di più chi produce meglio.
La scelta del governo di prevedere un aumento dei prezzi così clamorosamente basso non è certo una svista.
La prima ragione è, per così dire, di bottega. Il governo è direttamente e indirettamente il più importante datore di lavoro italiano: inflazione programmata all1,7 per cento può volere dire un risparmio per i rinnovi pubblici di un paio di miliardi di euro.
Ma la mossa ha motivazioni più profonde. Lidea condivisibile dellesecutivo, neanche troppo celata, è quella di legare gli incrementi di stipendio alla maggiore produttività. Occorre svincolarsi dalla contrattazione nazionale e collettiva e rafforzare un secondo livello, aziendale e integrativo.
Nicola Porro
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