Paolo Galassi*
Ha scritto bene Nicola Porro sul Giornale: non sarà certo la piccola e media industria, che rappresenta il 98% del sistema economico italiano, a beneficiare dell’eventuale taglio di cinque o più punti al cuneo fiscale. Non a caso questo provvedimento è fortemente sostenuto dalla sinistra del governo Prodi, a cominciare dal presidente della Camera Bertinotti, e dal mondo confindustriale: la riduzione del cuneo andrebbe infatti a tutto vantaggio di quelle imprese che hanno il costo di produttività più alto per addetto.
Alla piccola e media industria italiana servono ben altri strumenti di rilancio, per sostenerne la competitività e l’aggancio al treno della ripresa internazionale: a cominciare da una vera politica industriale, che rimetta al centro dello sviluppo il settore manifatturiero, abbandonato da chi ha preferito cercare manodopera a basso costo (e bassa qualità) nei paradisi della delocalizzazione.
Nessuno può realmente immaginare che un Paese di 60 milioni di cittadini, di cui solo 22 milioni attivi come forza lavoro, si mantenga con il turismo, la ristorazione o i servizi. Nessuno può pensare che gli incentivi fiscali finalizzati a favorire il consumo privato creino un circolo virtuoso a favore dell’impresa, se non si sostiene chi produce in Italia. Nel mondo le nostre pmi sono apprezzate - e trovano mercato - proprio per la capacità di unire l’inventiva all'ingegnerizzazione, la qualità artigianale e «su misura» delle produzioni all’altissima specializzazione nelle tecnologie avanzate, la lungimiranza e la flessibilità nell’intercettare i flussi della domanda di beni e prodotti.
Per questo le scelte strategiche in materia economica del nuovo governo dovrebbero essere orientate a dare respiro a un comparto massacrato dai costi del lavoro, dall’incremento delle tariffe energetiche, dai disservizi della pubblica amministrazione.
Altro che abolizione della Legge Biagi! L’indagine congiunturale «Laboratorio Pmi» sul primo semestre 2006, condotta da Confapi su 2.700 piccole e medie imprese di tutta Italia, ha evidenziato aspettative in crescita per la produzione, gli ordini e l’occupazione. Uno scenario che dipende anche da alcuni provvedimenti varati dal governo precedente.
Ma questo quadro positivo, che rivela ancora una volta la dinamicità e la fiducia nel rilancio da parte degli industriali italiani, ha un tallone d’Achille: il calo del margine operativo lordo, cioè l’utile d’impresa (prima del prelievo fiscale), passato da una media del 50% di qualche anno fa all’attuale 25-30%. Il problema vero della nostra industria è che si riducono sempre di più gli utili.
*presidente Confapi
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