di Irene Maniscalco
Piccoli uomini protagonisti discreti di una grande storia: esempi di genovesi protagonisti dell'RSI.
Si parla molto del clima politico, militare e sociale degli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, tralasciando spesso discreti protagonisti di storia locale, oscurati da grandi nomi ed eventi. All'armistizio dell'8 settembre del '43 Genova era presidiata dal XV Corpo d'Armata, retto dal generale Emilio Bancale, dal Comando di Difesa del porto e Dal Comando di Marina, entrambi retti dall'ammiraglio di divisione Carlo Pinna. La reazione tedesca del 9 settembre 1943 nei confronti dell'esercito italiano ebbe come diretta conseguenza un rifiuto alla resa non solo da parte di chi sempre fu fedele a Mussolini, ma anche da parte di chi fascista non lo era mai stato, che percepiva però la resa incondizionata al nemico come una gravissima offesa all'onore nazionale.
Nello stesso giorno i rappresentanti dei partiti antifascisti (DC, PC, PSI, PLI, Partito d'Azione) costituivano il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria e, nelle settimane successive, circolavano insistenti voci di imminenti sbarchi angloamericani. Ma ciò non influì sulla volontà di ventimila genovesi di arruolarsi fra le file della parte perdente. Dopo un primo periodo nel quale rimasero le massime autorità politiche, amministrative e militari nominate del governo regio, subentrarono elementi nominati dal nuovo governo proclamatosi: fra questi meritano di essere citati il commissario governativo per la Liguria Luigi Songerano, il prefetto capo per la provincia Emanuele Basile, i questori Arturo Bigoni ed Ugo della Monica, i commissari prefettizi al Comune di Genova Silvio Parodi, Antonio Canevaro e Giulio Sagoni. Uomini che operarono con onestà, tenacia e senso del dovere per risolvere i gravissimi problemi di una popolazione lacerata dagli avvenimenti, affamata per la scarsa produzione agricola e per la difficoltà degli approvvigionamenti, tormentata dai bombardamenti aerei che, nel '44, raggiunsero a Genova il loro apice, afflitta dalle disfunzioni di tutti i servizi, specie quelli di trasporto, indispensabili data l'alta percentuale di sfollati nell'entroterra. Il capo della provincia, ad esempio, esercitò sempre forti pressioni sui massimi dirigenti industriali per evitare licenziamenti di manodopera ed ordinò agli organi competenti di tollerare il commercio illegale di generi alimentari acquistati oltre i Giovi dai genovesi al fine di alleggerire la situazione alimentare delle famiglie (Genova, stretta fra i monti e il mare, dipendeva, per l'alimentazione, quasi integralmente dalle regioni padane confinanti, il che implicava l'autorizzazione, spesso negata, al rifornimento da parte delle autorità tedesche: diversi militari persero la vita in imboscate partigiane per difendere i viveri destinati alla popolazione genovese). Altro impegno di prefettura e comune fu l'assistenza di tutti coloro che persero l'abitazione sotto i bombardamenti del '44 (si stimano, nel comune di Genova, 4272 fabbricati colpiti, di cui 2674 distrutti o, comunque, inabitabili). La mattina del 24 aprile si accesero numerosi scontri a fuoco a Genova. Elementi partigiani, resisi conto del ripiegamento di gran parte dei presidi territoriali, attaccavano, in maniera più o meno decisa, i militari italiani e tedeschi ancora presenti, impadronendosi di Questura e Prefettura, abbandonate dal personale. Fu in quell'occasione che un certo tenente Pisano, di reparto imprecisato e a capo di alcune centinaia di militari, occupò la sede de «Il Secolo XIX» di Piazza de Ferrari e fece uscire il «Secolo Nuovo», nel quale si annunciava un ordinato passaggio di poteri tramite affido di Prefettura e Questura a funzionari di carriera e mantenimento di servizio per il personale che aveva operato sino ad allora.
Tentativo, questo, di sconcertare per qualche ora il fronte antifascista che, per le proprie mire politiche, temeva l'eventualità di un ordinato passaggio di potere, che pure avrebbe risparmiato la vita a centinaia di militari italiani e tedeschi, di partigiani e civili. I combattenti continuarono sporadicamente per tutta la giornata, cessando quasi totalmente a sera. Un clima generale di odio politico si fondeva con rancore personale e sete di rapine. E, oltre a ciò, dilagava una convinzione secondo cui sarebbe bastato ancora uno sforzo, sotto forma di una sanguinosa epurazione, perché in Italia e a Genova trionfasse il Comunismo. A Sampierdarena, Rivarolo, Bolzaneto, Cornigliano e nel centro genovese caddero centinaia di persone, ree soltanto di rappresentare un ostacolo alla comunistizzazione della città.
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