Di Pietro perde la testa e spara alto «Scelta per compiacere Napolitano»

RomaUn favore a chi? A me? E l’Italia che scivola verso una deriva antidemocratica? E poi, questa storia dell’olio di ricino? No, basta, «quando è troppo è troppo», queste «sono volgarità, falsità, scorrettezze, analfabetismo istituzionale». Giorgio Napolitano è infuriato. Certo, quel tribuno giustizialista, con tutta la sua retorica contorta, non ha mai dimostrato senso dello Stato e della misura. Quell’ex pm, specializzato nel tiro delle giacche presidenziali e nelle tirate populistiche, non si è mai distinto per la moderazione. Ma stavolta secondo il Colle Antonio Di Pietro, commentando la sentenza della Consulta, ha davvero esagerato.
Un attacco durissimo, quasi ad orologeria, scattato subito dopo il no della Corte ai referendum sulla legge elettorale, replicato qualche ora più tardi al termine del voto della Camera che ha negato l’arresto di Nicola Cosentino. E dire che bastava la prima dichiarazione del leader dell’Italia dei Valori a irritare il Colle. «Il nostro Paese si sta avviando, lentamente ma inesorabilmente, verso una pericolosa deriva antidemocratica, ormai manca solo l’olio di ricino». Per Di Pietro la Corte Costituzionale sul Porcellum non ha emesso un verdetto giuridico. «Ha fatto una scelta politica per fare un piacere al capo dello Stato, alle forze politiche e alla maggioranza trasversale e inciucista che appoggia Mario Monti». Insomma, sostiene, un mezzo golpe. «Un’operazione che rischia di farci diventare un regime».
Il Quirinale, a stretto giro di posta, fa filtrare una replica infastidita, che dovrebbe rimettere al suo posto il leader dell’Idv: «Parlare della sentenza odierna della Corte Costituzionale come di una scelta adottata per fare un piacere al capo dello Stato è un’insinuazione volgare e del tutto gratuita, che denota solo scorrettezza istituzionale». Tanto più che da sempre Napolitano è favorevole a una riforma del Porcellum.
Ma Di Pietro oggi è veramente scatenato e, invece di ripiegare, insiste tirando in ballo Napolitano pure sul caso Cosentino. «In democrazia - dice - nessuno è esente da critiche, nemmeno il presidente della Repubblica, e non c’è dubbio che questo governo e questa maggioranza parlamentare li ha voluti lui. Io chiedo: ora che con un mercato delle vacche hanno garantito l’impunità a Cosentino, il capo dello Stato, che è difensore delle prerogative del Parlamento ma anche delle ragioni della giustizia, intende difendere i magistrati o no?». Stoccata finale: «Questo Parlamento non ha più nulla da dire. Si deve andare a votare il prima possibile».
Frasi che il Colle considera del tutto inaccettabili ma alle quali decide di non ribattere, per non scendere su un terreno troppo politico e anche per non dare ancora più spazio a Di Pietro. In fondo l’ex pm cerca questo: polemiche, interesse, visibilità. Ma qualcosa di più sul verdetto della Consulta bisognerà pur dirla.
Così in serata Napolitano convoca sul Palazzo dei Papi Renato Schifani e Gianfranco Fini e con loro mette a punto una nota ufficiale per separare il campo d’azione giuridico della Corte da quello ben più ampio dei partiti e lanciare un appello al Parlamento perché cambi la legge elettorale. Il primo problema dopo la sentenza, al di là delle formalità, resta infatti quello di non tradire la volontà dei cittadini.
Per questo motivo nel vertice la triade istituzionale, come si legge nel comunicato, «esamina le prospettive dell’attività parlamentare con prioritaria attenzione alle riforme» e si trova d’accordo sul fatto «che tocchi alle forze politiche e alle Camere assumere rapidamente iniziative di confronto concreto sui temi da affrontare e sulle soluzioni da concertare».
E in particolare, su come sostituire il Porcellum. «Alla luce della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale nel rigoroso esercizio della propria funzione, è ai partiti che spetta assumere il compito di proporre e adottare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze largamente avvertite dall’opinione pubblica». Insomma, altro che deriva antidemocratica e Parlamento da sciogliere: in una fase in cui il governo è concentrato sull’economia, le Camere potrebbero aprire una stagione di «riforme condivise».

Che il sistema di voto attuale non regga più, il capo dello Stato lo ripete da tempo. «Si è spezzato il legame tra elettore e eletto», ha detto a Natale. Dunque serve «un diverso meccanismo per ripristinare la fiducia dei cittadini».

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