Cesare G. Romana
da Milano
La rapida, e magica, rentrée dei Pink Floyd, un anno fa al Live 8, è stato un episodio isolato e difficilmente condurrà a un ritorno del gruppo, scioltosi irreversibilmente qualche tempo fa. Consolerà i nostalgici, dunque, questo Pulse, doppio dvd che esce oggi e che registra lultimo tour della band, priva di Roger Waters dal 1983 e dunque ridotta a David Gilmour, Nick Mason e Richard Wright. Quel concerto del 1994 chiuse dunque unepoca, e insieme ribadì i pregi residuali, e i limiti intervenuti nellultima stagione dun gruppo che dal finire degli anni Sessanta aveva imposto un modo nuovo - colto, visionario, metafisico - di vivere il rock.
Di quel modo nuovo, dopo il rissoso divorzio da Waters, sopravvissero alcuni guizzi e molti cascami. Mentre Roger imbastiva a Berlino, sulle rovine del Muro, una lancinante versione di The wall, Gilmour, Mason e Wright giravano il mondo, mostrando a platee sconfinate cosa diventa un gruppo rock, che è stato grandissimo, quando smarrisce il confine tra grandezza e gigantismo. Sonorità tonitruanti, scenografie faraoniche, effettistica da guerre stellari non bastarono a mascherare il decrescere dellispirazione, leclisse della fantasia e lintenzione mercantilistica. Né ci erano riusciti gli ultimi album del trio, protesi a un vaniloquio sonoro che serbava, a tratti, frammenti dellantico fulgore, ma più spesso pareva smentire il delirio onirico, lo sgomento cosmico, le evasioni fiabesche che ai Pink Floyd avevano assicurato la gloria.
Ora la pubblicazione di Pulse riconferma quella crisi, senza negarci, tuttavia, barbagli dellantica genialità. Savverte la stanchezza che la coazione alla grandeur, lansia di prestazione, il culto del Grande evento avevano indotto. Ma non mancano di riemergere, saltuariamente, rimpiante magie e sempreverdi emozioni, che il virtuosismo dei tre musicisti, e la crescente tendenza al pompierismo talora esaltano, talaltra affogano nellaccademia e nel prevaricare della tecnologia. La quale, si sa, tende a privilegiare lo stupore sullemozione, e lammirazione sul pathos.
Lo spettacolo è diviso in due parti: una antologica, con memorabilia come Shine on you crazy diamond, Another brick in the wall, One of these days, Keep talking, e laltra incentrata su The dark side of the moon, lalbum più fortunato dei Pink Floyd recentemente riproposto, e con assai maggiore magia, da Roger Waters. Che assai meglio ne ha evidenziato i temi portanti, come la fuga del tempo, la primazia del denaro, leclisse di valori, le nevrosi e le follie del nostro tempo. E tuttavia Gilmour, Mason e Wright riescono a tratti a ricreare quel nesso possente tra musica e immagini, che caratterizzò la stagione migliore del gruppo. Complice Storm Thorgerson, fotografo e grafico che i Pink Floyd chiamarono a colorare il racconto musicale con un ricco corredo dimmagini, luci, effetti visivi: a volte prevaricante sul ruolo affabulatorio della musica, a volte prezioso nellassecondarlo, esaltandolo.
Resta la magniloquenza, che insidia la poesia delle «piccole cose» e ostruisce la riflessione. Lirrompere di luci e di raggi laser, e la strapotenza dei megawatt, tramutano un tocco di chitarra in un oceano in tumulto, e la finezza duna melodia in cavalcata nibelungica. Dissipando il senso del mistero e lattitudine ai tragitti dellinconscio, che pure connotarono tanta musica dei Pink Floyd e le diedero un senso.
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