Politica economica

Alla moda italiana serve una cassaforte

L'inossidabile comparto del lusso potrebbe avere qualche ruggine che si ripercuote sul tenuta dei conti del primo e forse anche del secondo trimestre dell'anno

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L'inossidabile comparto del lusso potrebbe avere qualche ruggine che si ripercuote sul tenuta dei conti del primo e forse anche del secondo trimestre dell'anno. A queste considerazioni si arriva dopo che Kering, il gruppo numero due al mondo del comparto, seppur a grande distanza rispetto al numero uno Lvmh, ha lanciato l'allarme non solo sui ricavi ma anche sulla redditività.

Un annuncio che ha innescato una reazione degli analisti particolarmente negativa per un titolo del lusso di quella portata e soprattutto inaspettata per intensità: il titolo ha ceduto quasi il 15%, accusando una perdita di 8 miliardi in termini di capitalizzazione di Borsa. La stella Gucci da parecchio tempo sembra appannarsi, non solo nei paesi asiatici, ma un po' ovunque nel globo. Eppure l'assetto societario è molto solido e il suo azionista di riferimento Pinault ha dimostrato, nell'arco degli ultimi cinque lustri, di saper raggiungere risultati eccellenti e che fino a un anno fa sembravano inattaccabili. L'esonero, improvviso e repentino, dell'esperto e molto apprezzato top manager Bizzarri sembra aver innescato una parabola discendente di particolare importanza.

A differenza del gruppo Arnault-Lvmh che continua a veleggiare con i suoi oltre 80 marchi del lusso (che spaziano dalla moda alla gioielleria, dagli hotel a cinque stelle all'enogastronomia). Così come Hermes, prima maison dell'haute couture, insieme a Chanel che però, non essendo quotata in Borsa, non deve comunicare al mercato i risultati trimestrali.

A cui si è affiancata Prada che non solo non ha risentito del profit warning di Kering ma ha continuato la sua cavalcata. Stesso comportamento, seppur meno brillante, hanno avuto i titoli della scuderia Arnault a conferma, almeno per ora, che non c'è una crisi di settore. Ovvero che lo scenario dell'unico comparto, insieme a quello dell'auto, in cui l'Europa è al vertice nel mondo grazie alle imprese francesi e a quelle italiane (pur in misura meno significativa). Il giro d'affari e il numero di occupati del settore sono di primissima importanza per l'economia transalpina così come per quella italiana, soprattutto per merito della filiera.

L'Italia dopo essere stata a cavallo dell'ultimo decennio del secolo scorso prima stella del panorama mondiale della moda ha accusato un calo di importanza, mentre assisteva al passaggio di una parte rilevante dei propri marchi più blasonati in mani francesi, spesso quelle di Arnault e di Pinault. Tra i grandissimi solo Armani e Prada non hanno ceduto alle lusinghe ultra miliardarie di Arnault, mentre Valentino e Versace hanno vissuto tempi difficili, finendo nell'area della finanza araba il primo e in quelle dello stilista Usa Michael Kors il secondo. Sorti analoghe hanno vissuto molti altri marchi. Il nostro Paese ha una filiera del lusso dotata di grandi capacità professionali e reputazione che, in massima misura, ha come capi filiera o i francesi o altri big stranieri. Un rallentamento delle vendite del lusso, se diffuso su tutti i capofila, creerebbe quindi complesse ricadute negative sulla filiera italiana, composta per lo più da piccole e da micro-imprese.

Ci sarebbe da augurarsi che gli ultimi grandi marchi a capitale italiano - Armani, Prada, Moncler, Ferragamo, Cucinelli e Rosso - si riunissero sotto il cappello di una sola grande holding di partecipazioni, in grado di competere con i francesi e ritornare a essere una guida internazionale del lusso, con una forza quasi pari a quella transalpina.

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