"I medici non possono più decidere sulle cure. Così vincono i burocrati"

L'esperto di bioetica: "Si guarda troppo alle statistiche, noi osserviamo i pazienti"

"I medici non possono più decidere sulle cure. Così vincono i burocrati"

Abbiamo chiesto a Pietro Abbati, psichiatra all'ospedale Sant'Orsola e membro della commissione del comitato di Bioetica dell'Ordine dei medici di Bologna oltre che coordinatore della commissione Responsabilità medica in psichiatria e membro della commissione del Rapporto medico-paziente dell'Ordine dei medici, di spiegarci le ragioni etiche della scienza. «C'è un contrasto tra due verità. Quella affermata da un comitato etico - che impone di valutare se i fenomeni accaduti al Sant'Orsola possono ripetersi in maniera simile anche su altri malati di altri ospedali e città - e quella del medico che sta a contatto con i propri pazienti. Per il primo non è etico accettare terapie che non rispondano a criteri scientifici, per il secondo non è etico non fare il possibile per far stare meglio chi dipende da lui».

Non si può garantire la sicurezza scientifica (nel rispetto dei tempi e delle modalità) e insieme continuare a curare i malati?
«Senza la certezza scientifica i miglioramenti dei pazienti potrebbero essere effetto dell'acqua di Lourdes, un miracolo».

Ma chi impedisce di dare l'acqua di Lourdes se medico e paziente sono d'accordo?
«Se accettiamo che è scientifico quel che risponde a determinate regole ci siamo messi nel sacco, tutto il resto sta fuori. Sul fronte opposto c'è il medico che, in scienza e coscienza, potrà battersi perché ai malati venga garantita quella cura».

Cosa sono scienza e coscienza?
«Se, in base alla sua esperienza, un medico è convinto che il miglioramento che si verifica nel malato dipende dalla terapia somministrata, questo è un vincolo per il medico. Il comitato etico potrà discettare quanto vuole, potrà dire che occorrono verifiche, ma se il medico è certo, è come Galileo che osserva la terra girare. Il comitato ragiona guardando statistiche, grandi numeri, il medico osserva il suo paziente».

Ma ci deve essere un conflitto per forza?
«Il conflitto c'è. Ed è insanabile. Il responsabile dello studio non potrà fare nulla per questi 80 pazienti».

Le regole della scienza sono un meccanismo perverso?
«In parte sì. Queste due posizioni diametralmente opposte sono condizionate da un mondo di variabili e di umane miserie (gelosie professionali, interessi economici), alla fine qualsiasi evidenza statistica e clinica può diventare aleatoria. Tornando a scienza e coscienza e al ruolo del medico, è drammatico decidere in mezzo a mille variabili incontrollabili, decidere significa tagliare, scegliere, assumersi responsabilità. È una cosa che non succede più. La nostra società ha tolto questa responsabilità al medico. L'ha estesa all'amministratore, al direttore generale, al giudice, all'opionione pubblica. Per questo c'è conflitto. Sono scelte di politica anche queste».

Volute per proteggere i medici dalle cause?
«Non sempre. L'esito negativo di un trattamento è tollerato quando c'è un rapporto vero tra medico e paziente. Quando un malato si sente dire che “la scienza gli nega una terapia perchè non è scientifica” è come se dicesse che il medico gli ha raccontato una bugia e questo non promuove il rapporto di fiducia medico-paziente».

Perché è una questione politica?
«Il codice deontologico medico appena approvato priva il medico di autonomia di giudizio imponendo al clinico di sottostare alle decisioni dell'amministratore. E i medici che disattendono le direttive amministrative potranno essere sottoposti a provvedimento disciplinare»

Cosa si può fare per gli 80 malati che non hanno più una terapia?
«Si possono far valere le priorità. Se il comitato decide per lo stop è pur vero che le modalità dello stop dovrebbero spettare al medico».

La parola etica accanto alla parola comitato è un inganno?


«In parte sì. Un comitato etico approva una terapia quando, a livello generale, risulta efficace sulla maggior parte delle persone. Guarda al massimo livello di probabilità. Se qualcuno resta fuori, pazienza».

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