«Su Isis e Califfato le comunità islamiche italiane mantengono un'ambiguità di fondo. Dicono non c'entra con noi o lo definiscono questione politica, ma in verità non prendono posizione. Da una parte temono l'islamofobia, dall'altra sanno di muoversi in ambienti disastrati dove qualcuno sogna veramente un governo islamico». Per il professor Paolo Branca, autorevole studioso dell'Islam dell'Università Cattolica di Milano, l'atteggiamento dei musulmani italiani di fronte al terrorismo islamico non è diverso da quello di chi negli anni '70 definiva «compagni che sbagliano» i brigatisti rossi. «Come nell'estrema sinistra del tempo - spiega a il Giornale - in molte moschee italiane si annidano radicali che pur non condividendo i metodi dell'Isis ne condividono il mito del Califfato e l'idea della legge religiosa».
A Milano sono scesi in piazza contro l'Isis...
«Ma erano pochi....Il Caim (Coordinamento associazioni islamiche di Milano) pretende di coordinare una trentina di moschee. Se ognuna mandava cento persone dovevano essere tremila. Invece non erano neanche trecento. Probabilmente fanno fatica a prendere posizione su questi temi».
Le condanne sono sincere?
«Non sono mai assolute. Le contestualizzano all'interno di altri problemi irrisolti come Gaza e lo scontro arabo israeliano. Certo aver lasciato irrisolta la questione palestinese per oltre 60 anni è grave... Loro però dimenticano di ricordare che Hamas ha peggiorato la situazione trasformando un conflitto nazionale in scontro religioso».
Come spiega questo atteggiamento?
«Da una parte non sono consapevoli dei rischi che corre una religione strumentalizzata per fini politici, dall'altra sono senza difese perché privi di gerarchie ecclesiastiche. Non hanno un Papa capace di dire una parola chiara e sono in balia dei ministeri per gli affari religiosi dei vari regimi arabi».
Di chi
possiamo fidarci?«Quelli della Coreis (Comunità religiosa islamica) di 'Abd al-Wahid Pallavicini, sono i più attenti. Dagli altri arrivano dichiarazioni spesso tardive e dettate più da necessità che convinzione».
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