Israele, effetti collaterali del voto dal Pd a Obama

La sinistra tornerà a litigare sulla Palestina, Barack con Bibi

Israele, effetti collaterali del voto dal Pd a Obama

Il risultato a sorpresa del voto in Israele non mancherà di far sentire i suoi effetti anche nel nostro Paese. Anche sui media e nel mondo politico italiano, prima delle elezioni, il cliché di Netanyahu "reprobo nemico della pace e ormai ripudiato dal suo stesso popolo" aveva avuto facile sopravvento. Ma ora che le urne hanno dato un ben diverso responso, vale la pena riflettere sulle principali ricadute che potranno riguardarci.

PALESTINA

La ricaduta più probabile del mancato disarcionamento dell'«impresentabile» Netanyahu sono ulteriori complicazioni nel già ambiguo percorso di riconoscimento della Palestina. Anche qui, chi sperava in una facilitazione come conseguenza di un cambio della guardia a Gerusalemme rimane col cerino in mano: e il problema si accentuerà nel momento in cui Abu Mazen, come ha promesso ieri, porterà avanti la sua denuncia al Tribunale internazionale contro Israele «per crimini di guerra». All'interno del Pd e del governo è facile prevedere un approfondimento delle divisioni interne. Più in generale, a livello di comunicazione istituzionale, ce la caveremo con un generoso supplemento della solita retorica pacifista a senso unico che gli israeliani hanno confermato di non digerire.

MINACCIA NUCLEARE

La Casa Bianca ha un bel ripetere che il mantenimento di Netanyahu al suo posto di comando non avrà alcuna conseguenza sul negoziato con l'Iran: è vero esattamente il contrario, considerando che nel suo recente discorso al Congresso americano che tanto ha irritato il presidente Obama, Netanyahu ha scandito che Israele è pronto a difendersi anche da solo dalla minaccia atomica di Teheran. Più che probabile, quindi, che nei prossimi mesi il tema del rischio di un conflitto mediorientale innescato dal profondo dissidio tra Iran e Israele recupererà il suo spazio anche nel nostro dibattito politico.

IL RUOLO DELL'AMERICA

Un Obama inviperito per la scelta degli elettori israeliani che suona come uno schiaffo all'alleato che garantisce concretamente la sicurezza del loro Paese. Un partito repubblicano che, chiunque sarà il suo leader nell'ormai non lontana corsa alla Casa Bianca del 2016, farà dell'incrollabile amicizia con Israele un tema forte della sua politica estera. Da qui al prossimo braccio di ferro politico elettorale negli Stati Uniti, l'eterno pasticcio mediorientale farà ricadere anche in Italia gli effetti di una divisione che in fondo si riproduce uguale in tutto il mondo: i «progressisti» ostili a Netanyahu, i conservatori (maggioranza nell'opinione pubblica italiana ma non sempre nella sua rappresentanza politica) disposti a sostenerlo.

LA SPACCATURA NELL'UE

Federica Mogherini ha già annunciato un rinnovato impegno dell'Ue per «il rilancio» del processo di pace con i palestinesi. Parole che appaiono, al di là della buona volontà, più che mai di circostanza.

In realtà, tutti sanno che Netanyahu ha ben poca volontà di compromesso con i palestinesi, e che le intenzioni «di pace» di questi ultimi non sembrano molto credibili. Piuttosto, l'Europa rischia una volta di più di spaccarsi al suo interno tra chi vorrà spingere in un angolo il «reprobo» Netanyahu e chi cercherà di lavorare per evitare il suo isolamento.

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