«Abbiamo perso consapevolezza del linguaggio»

Il linguista: ormai quando parliamo non applichiamo più le categorie dell'amore e dell'odio

Andrea Cuomo

«La bestemmia? È un problema di consapevolezza». Massimo Arcangeli, linguista e critico, ha una sua teoria sul perché si utilizzi al di là dei fini espressivi il più blasfemo dei turpiloqui.

Consapevolezza, Arcangeli?

«Ma sì, è questo vale per noi adulti come per i ragazzi. Se ci fosse la consapevolezza di quello che diciamo riusciremmo quanto meno ad arginare il fenomeno. Ma manca del tutto. E se questo vale per i grandi, figuriamoci per i giovani».

Quindi non è solo questione di sacrilegio...

«Il discorso è più ampio. Ormai quando parliamo non diamo più peso a categorie millenarie come il bene o il male, l'amore o l'odio. Abbiamo desensualizzato il linguaggio, privandolo dei suoi significati profondi. La gente si dice di volersi bene anche se non si conosce, si chiama tesoro. E questo è favorito dai social».

Che cosa c'entrano i social?

«Molte persone non si rendono conto di quanto siano diversi nella loro identità digitale rispetto a quella reale e questo spiega la migrazione nell'odio social. Quando interagisco virtualmente cambio e cambia anche il mio linguaggio».

In molte regioni italiane però la bestemmia ha una accezione quasi nobile.

«Certo. In Toscana, in Veneto, in Campania, nel Lazio ha una tradizione millenaria che ha a che fare con l'espressività popolare, ciò che non giustifica la bestemmia ma gli dà una ragion d'essere. Eppure sa che nessuno ha mai fatto uno studio serio sulla bestemmia? È un tabù».

Ha senso rimproverare chi bestemmia?

«Il problema è che da un lato c'è chi spinge per edulcorare e neutralizzare il

linguaggio in nome del politicamente corretto. E dall'altro chi rivendica il senso del politicamente scorretto. Se non troviamo un punto d'incontro tra questi due piani non ha senso sanzionare i ragazzi che bestemmiano».

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