E pensare che, quando, alcuni anni fa, l'allora premier Silvio Berlusconi, al grido di «Non passa lo straniero!», si oppose al passaggio di Alitalia sotto le ali di Air France, molti, soprattutto dalla sinistra, insorsero accusando il Cavaliere di restare ancorato a vecchi schemi del passato e di essere poco europeo. Poi sappiamo tutti come è andata: dopo la parentesi di Colaninno & C., la compagnia è passata agli arabi di Etihad che hanno finito per affossarla ancora di più. Ma oggi Di Maio - che avrebbe invece bisogno di conoscere davvero il passato (una ignoranza, la sua, a cinque stelle) per non commettere «gaffe» clamorose -, va ben oltre. Il vicepremier propone, infatti, l'ingresso pubblico (attraverso il ministero dell'Economia e la Cassa depositi e prestiti) nel capitale di Alitalia che, così, tornerebbe ad essere una compagnia di bandiera, ma rigorosamente giallo-verde. Non solo: con l'avallo del nuovo amministratore delegato Gianfranco Battisti, appena catapultato dal governo, anche le Ferrovie dello Stato, come se non bastassero tutti i problemi che già hanno, entrerebbero in Alitalia assieme al Tesoro e a un partner industriale. Così, dice Di Maio, potremo avere il biglietto unico treno+aereo. Bella idea. Il problema, però, è che il progetto era già stato studiato dall'ex ad delle Fs, Mauro Moretti, ma poi scartato perché ritenuto poco conveniente: si finirebbe per avere troppe sovrapposizioni tra i due business. Sarebbe molto meglio, invece, che le Ferrovie si concentrassero di più sui propri problemi, a cominciare dalla concorrenza di Italo che, passata agli stranieri, si fa sempre più aggressiva. Senza contare che, con il biglietto unico, il passeggero finirebbe anche per sommare altre cose: i ritardi dei treni con quelli degli aerei, ad esempio. Eppure il leader dei grillini va avanti anche se ha dovuto spiegare che l'impegno complessivo per le casse pubbliche andrà oltre l'attuale prestito-ponte dello Stato e sarà attorno a due miliardi di euro. Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, non sa proprio dove tirar fuori tutti questi soldi anche perché è stato preso letteralmente in contropiede da Di Maio che ha anticipato la notizia (ma Luigi dice che era tutto già previsto nel famoso contratto). Una notizia che, semmai, avrebbe dovuto essere data proprio da Via Veneto. Insomma, ci troviamo di fronte all'ennesima «sparata»: prima si dà l'annuncio-bomba, poi si vedrà in che modo rastrellare i soldi.
E, tanto per cambiare, siamo entrati in un nuovo «cul de sac»: cosa dirà l'Europa? Intanto, il povero Tria è costretto ad ingoiare un altro rospo: prima gli spengono l'altoparlante mentre parla, poi non lo fanno neppure parlare quando avrebbe dovuto essere lui a dare l'annuncio ufficiale. A questo punto, un sommesso consiglio al professore: una volta tanto anticipi lei la notizia e dichiari di dimettersi. Sale in zucca: così non va.
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