In Lombardia almeno 300mila persone sono venute a contatto con un positivo e dunque sono potenzialmente contagiose. E si tratta di una stima ottimistica. Che cosa succederà da domani quando la circolazione riprenderà anche se in modo controllato? La situazione si ripeterà identica in tutte le regioni con numeri diversi a seconda della diffusione dell'epidemia che ha colpito soprattutto il Nord: Lombardia appunto ma anche Emilia Romagna, Piemonte, Veneto.
I dati analitici sulla popolazione che riprenderà l'attività rivelano che su 4,4 milioni di lavoratori la maggioranza ha più di 50 anni e si trova al Nord. Ecco il paradosso: torneranno a muoversi le persone più a rischio nelle aree più a rischio. Lo studio messo a punto dalla Fondazione dei Consulenti del Lavoro calcola che il 62 per cento di quelli che erano a casa da domani riprenderà a lavorare. Che cosa succederà? Tutti gli esperti ritengono inevitabile che la curva epidemica si rialzi ma allo stesso tempo sottolineano che in queste settimane di emergenza abbiamo imparato molto sul virus. Ad esempio quanto sia importante il fattore «tempo» sia per contenere i focolai sia per evitare che il paziente si aggravi e insorgano complicazioni. Uno degli ingranaggi che non ha funzionato a dovere è quello della sanità territoriale per una carenza obiettiva di strutture, personale e mancanza di sinergia con gli altri settori della sanità pubblica. I medici di base potrebbero avere un ruolo cruciale ai fini del contenimento dell'epidemia ma soltanto se ingranerà una collaborazione virtuosa tra i diversi comparti del servizio sanitario nazionale.
«Con la riapertura sarà inevitabile che ripartano nuovi focolai l'importante è individuarli e circoscriverli subito», avverte la segretaria della Fimmg Lombardia, Paola Pedrini, che si prepara ad affrontare la Fase2 nella regione con il maggior numero di contagiati. «Nella Fase1 siamo stati completamente dimenticati ora finalmente hanno inserito un sottogruppo con la presenza dei medici di base nella task force per l'emergenza» spiega la Pedrini che indica come principale preoccupazione quella dei contagiati non confermati e dei loro contatti. «É vero che si eseguono molti tamponi ma non abbastanza rapidamente ed efficacemente- spiega- Sono in arrivo dei macchinari che velocizzeranno la procedura delle analisi ma siamo in ritardo perchè la Fase2 è domani e il personale Ats (le agenzie di salute pubblica ndr) non è sufficiente. Per contenere la diffusione dovremmo avere il risultato del tampone entro tre giorni dai primi sintomi per mettere in quarantena anche i contatti».
E il punto debole, la smagliatura che rischia di far schizzare i contagi è ancora quella degli asintomatici e dei loro contatti. Il punto è questo: domani chi convive con un caso sospetto andrà a lavorare? «I positivi diagnosticati e in isolamento domiciliare (in Lombardia sono circa 30mila ndr) sono in casa e chi convive con loro è in quarantena- prosegue la Pedrini- Ma noi sappiamo che i positivi sono almeno dieci volte di più e che tra la denuncia di un caso sospetto e la verifica con il tampone possono passare molti giorni. E finché la diagnosi di Covid 19 non è confermata il sospetto resta a casa ma i suoi conviventi escono e in teoria da domandi andranno anche a lavorare». A questi si aggiungono gli asintomatici che non sono neppure «sospetti».
Obiettivi prioritari della Fase2 sono diagnosi tempestiva e
assistenza domiciliare per il maggior numero di persone possibile. Per farlo conclude la Pedrini occorre l'intervento della sanità pubblica con la possibilità di diagnosi a domicilio: tampone ma anche radiografie ed emogas.
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