Il Consiglio di Stato sospende il parere sul decreto del governo sul canone Rai in bolletta. Una tegola ulteriore per il premier Matteo Renzi che, mettendo alle strette gli italiani e obbligandoli a pagare il canone se titolari di un contratto luce per utenze residenziali, sperava di recuperare circa un miliardo di euro portando l'incasso dell'abbonamento alla Rai da 1,6 a 2,5 miliardi. In realtà la sospensione del parere non equivale a una bocciatura ma i tempi per apportare le modifiche al decreto chieste dal Consiglio stringono se si vuole riuscire a far pagare la prima rata del canone, 60 euro sui 100 richiesti, con la bolletta elettrica del prossimo luglio. Le richieste del Consiglio però non sono di poco conto. Inoltre l'organo amministrativo ha spiegato che «l'adozione del decreto non è avvenuta nel rispetto del termine previsto dalla norma di riferimento». Il Consiglio di Stato di sofferma quindi su «alcuni profili di criticità» del regolamento «che dovrebbero trovare soluzione prima della sua definitiva approvazione» per «non condizionare il grado di efficacia di tale strumento normativo». Innanzitutto nel testo «manca un qualsiasi richiamo ad una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo». E siccome anche smartphone, tablet e altri apparecchi si prestano alla ricezione di programmi tv, «è importante precisare che il canone di abbonamento è dovuto solo a fronte del possesso di uno o più apparecchi televisivi in grado di ricevere il segnale digitale terrestre o satellitare direttamente o tramite decoder. Questo costituirebbe un elemento informativo particolarmente utile in relazione agli obblighi contributivi dei cittadini». In secondo luogo, il procedimento di addebito e riscossione del canone di abbonamento alla televisione presuppone uno scambio di dati fra i vari enti: Anagrafe tributaria, autorità per l'Energia, ministero dell'Interno, Comuni e alcune società private. Nelle norme però non si fa alcun riferimento a questo tema che, «viceversa, potrebbe trovare soluzione quantomeno con la previsione di una disposizione regolamentare che espliciti che le procedure ivi previste avvengano nel rispetto della normativa sulla privacy, sentito il Garante per la protezione dei dati personali».
Un ulteriore profilo di criticità è dato dal fatto che «non tutte le norme ivi previste risultano formulate in maniera adeguatamente chiara, tenendo conto dell'ampia platea di utenti cui le medesime si rivolgono»: ne è un esempio l'articolo 3 del regolamento che «nell'individuare, ai fini dell'addebito del canone, le categorie di utenti, utilizza formule tecniche di non facile comprensione per i non addetti al settore». Il contribuente insomma, dice il Consiglio di Stato, deve avere vita facile e non impazzire in un ginepraio di leggi e circolari.
In realtà che il provvedimento non fosse di chiara comprensione si sapeva da tempo e su questo fronte si erano mosse le associazione dei consumatori tra cui l'Aduc, molto attenta alla questione, ma i loro rilievi, molto simili a quelli mossi dal Consiglio di Stato, sono rimasti inascoltati.
Ora il decreto dovrà essere riscritto con le modifiche richieste, tra cui quella che vuole termini e tempi certi per la restituzione del canone se dimostrato che non è dovuto dal contribuente. «Sul fonte del canone Rai in bolletta - ha detto Carlo Rienzi, presidente del Codacons- regna il caos più totale, motivo per cui il Governo farebbe bene a rinunciare del tutto al provvedimento, almeno per quest'anno».
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