Amianto, chiesti quasi 7 anni Stangata per De Benedetti

Mano pesante dei pm per i morti all'Olivetti, 6 anni e 4 mesi pure per il fratello Franco. «Ex vertici colpevoli»

D icono le pm: «Questo non è il processo alla Olivetti di Adriano Olivetti. È il processo alla Olivetti degli anni Settanta, Ottanta, Novanta che da quei valori si era profondamente distaccata». Di quel tradimento degli ideali del grande imprenditore illuminato, fa parte in pieno «la sottovalutazione dei problemi della sicurezza» nei capannoni, nei reparti, negli uffici, persino nella mensa pieni di amianto. Così, uno dopo l'altro, decine e decine di dipendenti - ottantacinque, secondo i conti della Procura - si ammalarono di mesotelioma pleurico. Uno dopo l'altro morirono, alcuni stanno morendo in questi mesi. Ieri, per il primo gruppo di dieci morti la Procura presenta il conto agli imputati. E il conto più pesante tocca inevitabilmente all'uomo che più a lungo e con più potere, in quegli anni, guidò l'Olivetti: Carlo De Benedetti.

Per l'Ingegnere le pm Francesca Traverso e Laura Longo chiedono una condanna a sei anni e otto mesi di carcere per sette accuse di omicidio colposo e per due casi di lesioni personali gravissime: sono i casi di Pierangelo Bovio Ferrassa e Luigia Perrello, operaio e impiegata, ormai in fase terminale, venuti in aula a raccontare come l'amianto fosse dappertutto, e nessuno avesse nemmeno la più economica delle mascherine, nonostante - ricorda ieri la pm Longo - «già dagli anni Sessanta fosse nota la relazione tra amianto e mesotelioma». Appena più lieve (sei anni e quattro) la richiesta di condanna per il fratello di De Benedetti, Franco, anche lui per undici anni amministratore delegato; tre anni e mezzo di carcere la richiesta per Corrado Passera, che fu amministrato delegato dal 1992 al 1996, e che in questa veste per le pm deve rispondere di un omicidio e di una lesione gravissima. A nessuno degli imputati vengono riconosciute le attenuanti generiche, anche perché non si sono mai fatti vedere in aula, «dimostrando così un certo disinteresse per la vicenda». Assoluzione chiesta invece per Roberto Colaninno, brevemente anche lui in Olivetti, che risponde di un caso di lesioni.

Più del computo degli anni di carcere chiesti, fa impressione nella requisitoria la ricostruzione dell'indifferenza con cui per lunghi anni si permise la strage silenziosa: già dal 1981, quando una perizia del Politecnico di Torino rese nota ai vertici dell'Olivetti la presenza della tremolite nel talco delle guarnizioni. Ma lo stesso talco, secondo i pm, continuò a essere usato fino al 1986, «ci hanno messo cinque anni a decidere». E ancora più grave è il tema delle bonifiche ambientali, fatte male, «alla corsara», in ritardo o mai fatte: e sempre e comunque «badando a spendere il meno possibile». Quei dieci operai e impiegati vennero lasciati morire per risparmiare.

E di questo, afferma la requisitoria, il principale colpevole è Carlo De Benedetti. Non per responsabilità oggettiva, non perché «non poteva non sapere». Ma perché era a lui, l'amministratore delegato «dotato di poteri amplissimi», che competeva per primo la tutela della sicurezza, ruolo che non delegò mai a nessuno; e perché era a lui che riferivano gli organismi consultivi che monitoravano la situazione nei reparti, come la Commissione ecologia.

«Dopo l'avvento di Carlo De Benedetti la commissione si è riunita con minore frequenza», ha raccontato una teste. Un'altra ha raccontato che l'ordine era nascondere i dati allarmanti. Poi in aula si è rimangiata tutto. Ma ora la Procura chiede di incriminarla per falsa testimonianza.

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