Attacchi e barricate, è il «governo di lotta»

di Adalberto Signore

Un governo di lotta, con uno dei due principali leader della nuova e inedita maggioranza gialloverde pronto ad essere il capo dei rivoltosi anti-establishment ed anti-Ue. Posizioni difficilmente conciliabili, è vero. Perché quando si arriva nella stanza dei bottoni non è solo il «sistema» a imporre un passo diverso da quello tenuto sulle barricate di una campagna elettorale dai toni accesi, ma pure tutti i vincoli - d'opportunità, politici, ma soprattutto giuridici - che imbrigliano chiunque sieda su poltrone chiave. Eppure Matteo Salvini non sembra volersi «accomodare» nel ruolo di «uomo delle istituzioni». Anzi, il suo obiettivo - ribadito ancora 48 ore fa a un big di Forza Italia - è «restare uno del popolo» comunque vadano le cose. Anche se, come si augura, dovesse essere il prossimo ministro dell'Interno.

E che quelli di Salvini siano più che semplici propositi lo si è capito in questi mesi di consultazioni, ancora di più in queste ultime due settimane in cui lui e Luigi Di Maio hanno messo a punto la squadra di governo istituzionalizzando di fatto un conflitto permanente con il Quirinale. Un braccio di ferro da cui il leader della Lega è sembrato uscire sempre vincitore, qualunque fosse il tema oggetto del contendere.

Anzi, più dal Colle filtrava perplessità, più Salvini alzava i toni. Contro l'Europa o più genericamente contro il Quirinale (derubricato a un semplice interlocutore che vuole solo «imporre veti»), posizionandosi di fatto contro l'establishment quale che sia. Anzi, con l'intento - forse volutamente ostentato nei giorni in cui il leader della Lega è «costretto» a sedersi nel salotto buono per trattare ministeri e nomine di peso - di dimostrare che nonostante tutto non ha intenzione di snaturarsi, ammorbidirsi o cambiare passo. «Non scenderò a compromessi», ripete in privato. E lo fa anche per prendere le distanze da Di Maio, che in nome della trattativa sul governo è costretto anche dal suo nume tutelare sul Colle a toni più prudenti. Salvini, invece, con i grand commis del Quirinale non si è compromesso e questo gli permette di tenere - con una certa coerenza e senza venir meno agli impegni presi - un atteggiamento decisamente più sfrontato.

Su questa strada è andato avanti per settimane il leader della Lega, sublimando nei fatti quel «governo di lotta» su cui ha deciso di investire il suo futuro politico. E lo scontro di queste ore sul nome dell'economista Paolo Savona non è altro che la conferma dello schema che sta scientificamente seguendo. O gli equilibri del prossimo esecutivo si spostano a favore del leader della Lega e del suo approccio «di lotta» oppure per Salvini - sondaggi alla mano - è decisamente più conveniente tornare al voto. Ed è proprio per una sconfitta del Quirinale sul nodo Savona che passa la legittimazione politica della sua leadership, che a quel punto - nonostante i numeri in Parlamento dicano il contrario - varrebbe più di quella di un remissivo Di Maio. Ecco perché Salvini farà di tutto per costringere all'angolo Mattarella.

Che nelle sue intenzioni è solo il primo passo di una strategia che punta a mettere sul banco degli imputati Bruxelles e l'intera burocrazia Ue. Che, questo confidava Salvini in privato giorni fa, è destinata ad essere il tema su cui concentrare non solo l'azione di governo ma anche la campagna elettorale delle Europee del 2019.

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