Attese, posti letto e medici: l'inferno del pronto soccorso

Aperte tre inchieste sullo scandalo del San Camillo Ma è solo un esempio della tragica situazione italiana

Attese, posti letto e medici: l'inferno del pronto soccorso

Indagine interna dell'ospedale; inchiesta degli ispettori del ministero e verifiche dei tecnici della Regione Lazio. Ora sono addirittura tre le procedure di controllo attivate da tre diverse istituzioni per capire come mai sia stato violato il diritto di un malato terminale di cancro a morire con dignità, circondato soltanto dall'affetto dei suoi familiari, come denunciato dal figlio, Patrizio Cairoli, con una lettera aperta rivolta al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

Il direttore sanitario del San Camillo, Luca Casertano, ha chiesto pubblicamente scusa alla famiglia e ha spiegato che non è stato possibile trovare un posto letto. Però va detto che è fin troppo facile gettare l'intera responsabilità dell'accaduto soltanto sull'ospedale che già in passato è finito nel mirino degli ispettori per altri gravi casi di malasanità.

Questo caso può rappresentare il paradigma di un intero sistema che non funziona anche perché sul Servizio sanitario nazionale si continuano a effettuare tagli lineari che di fatto sottraggono servizi essenziali al cittadino. Intanto va detto che sui Pronto Soccorso ricade pure la mancata efficienza di un sistema territoriale che in teoria prevede l'assistenza domiciliare per i malati terminali o in alternativa gli Hospice, ovvero strutture dedicate a pazienti per i quali restano soltanto le cure palliative. A causa di questa carenza come conferma l'indagine di Cittadinanzattiva e Simeu (Società italiana della medicina di emergenza-urgenza) in collaborazione con il Tribunale dei Diritti del Malato, troppo spesso i dipartimenti d'emergenza si trasformano in gironi infernali. Ad esempio la ricerca sottolinea come siano presenti spazi dedicati al malato in fase terminale solo nel 45 per cento dei Dea di II livello, nel 36 per cento dei Dea di I Livello e solo nel 13 per cento dei Pronto Soccorso. I pazienti devono affrontare i tempi di attesa estenuanti, anche fino a sette giorni; sovraffollamento; carenza di personale; scarsa attenzione al dolore e mancata comunicazione con i pazienti.

Il monitoraggio ha coinvolto 93 strutture di emergenza urgenza rappresentando i casi di 2.944 tra pazienti e familiari di pazienti. Il quadro è molto disomogeneo anche all'interno di una stessa regione.

Prima nota dolente sono i tempi di attesa sempre troppo lunghi. Per avere un ricovero o un posto letto i pazienti sono costretti ad aspettare oltre due giorni nel 20 per cento dei Pronto soccorso e nel 38 per cento dei Dea di II livello. L'attesa massima è stata registrata nei reparti di Osservazione breve intensiva (Obi) pari a 168 ore, circa 7 giorni. Oltretutto l'Obi una struttura prevista proprio allo scopo di velocizzare i percorsi diagnostici e terapeutici, manca nel 40 per cento dei Pronto soccorso, nel 17 dei Dipartimenti di emergenza e accettazione I livello, nel 19 per cento dei Dea di II livello.

Pochi gli spazi «attrezzati» per i bambini (in nessuno dei Pronto soccorso, solo nel 36 per cento dei Dea I livello, 29 per cento dei Dea II livello). Circa la metà delle strutture offre soltanto bagni condivisi uomo-donna (53 per cento PS, 51 per cento Dea I Liv, 29 per cento Dea II Liv); assenza di bagni per disabili nel 20 per cento di PS e Dea II livello.

Il sapone? È presente solo nel 53 per cento dei PS e nel 77 per cento dei Dea di II Livello con le realtà del Sud più in difficoltà. Infine anche la carta igienica è disponibile solo nel 60 per cento dei Ps e nel 77 per cento dei Dea di II livello.

«Il Pronto Soccorso rappresenta per i

cittadini un punto di riferimento irrinunciabile e nel quale nutrono fiducia. È necessario però investirci e migliorarlo», afferma Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva.

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