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Battaglia di parole all'Onu: Russia battuta. Ora gli occidentali lanciano una risoluzione

Solo tre voti su 15 per condannare i raid. Usa e alleati per nuove indagini

Battaglia di parole all'Onu: Russia battuta. Ora gli occidentali lanciano una risoluzione

Il tempo delle parole è finito, ha sibilato Donald Trump all'indirizzo di Damasco e di Mosca. Ma non è proprio così. Perché se è vero che la possibilità di ricorrere alla forza in Siria rimane attualissima, è altrettanto vero che il ruolo della diplomazia e della politica rimane prioritario. Proprio per evitare che l'ultima parola venga lasciata pericolosamente ai generali.

Cosa sta succedendo dunque in ambito politico e diplomatico dopo il brevissimo blitz occidentale (è durato un'ora in tutto) nei cieli siriani? Diverse cose interessanti. Il teatro principale delle schermaglie verbali è l'Onu, ma non vanno dimenticate le iniziative prese in queste ore da diversi protagonisti della crisi mediorientale.

Al Consiglio di Sicurezza dell'Onu il Cremlino ha dovuto incassare una figuraccia: la secca bocciatura della risoluzione presentata dalla delegazione russa per chiedere la condanna dell'attacco occidentale in Siria. Su quindici membri aventi diritto hanno votato a favore solo in tre (Russia, Cina e Bolivia) e non è stato neppure necessario per gli americani e i loro alleati fare ricorso al veto.

Oggi verrà messa in discussione una nuova risoluzione sulla Siria, proposta invece da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia: è un testo articolato, ma chiede soprattutto l'istituzione di una commissione internazionale indipendente che indaghi sull'uso di armi chimiche in Siria, con un esplicito invito a Damasco a collaborare con l'Opac, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche che sta cercando le tracce dell'attacco condotto a Douma il 7 aprile scorso. Facile prevedere che nonostante gli sforzi negoziali degli alleati il tutto verrà bloccato da un veto russo, come è già accaduto per ben 12 volte in passato sulla Siria, sei delle quali a proposito delle sue armi chimiche.

Tornando al blitz di venerdì notte, è proprio la Russia a dover fare i conti con qualche ricaduta indesiderata. I problemi arrivano da entrambi i suoi alleati nella regione, l'Iran e la Turchia. La Repubblica islamica minaccia di creare a Vladimir Putin grossi problemi con Israele, perché preme troppo da vicino ai suoi confini: Putin pretende di essere per Netanyahu un affidabile garante rispetto alle mira di Teheran, ma l'imminente offensiva sulla sacca di resistenza ribelle a ridosso del Golan potrebbe dimostrare il contrario. E anche rendere molto più vivido per lo «zar» il fantasma di un Vietnam mediorientale per le armate russe.

Più complesso il capitolo della Turchia. Membro della Nato in rotta con l'Europa e con velleità di potenza regionale, il Paese ormai saldamente in pugno a Erdogan si è avvicinato a Mosca con l'obiettivo di risolvere una volta per tutte la questione curda in Siria. Dalla Russia però lo divide il rapporto con Assad, che per Putin è assolutamente strategico, mentre Erdogan lo vorrebbe morto. Per il «sultano» di Ankara, l'attacco chimico su Douma non è affatto presunto come pretende il Cremlino, e così con Putin si è aperta una frattura attraverso la quale prova a insinuarsi Emmanuel Macron, presidente di una Francia che sta lavorando da tempo per recuperare un ruolo nelle vicende della sua ex colonia siriana.

Macron ha telefonato sabato sera a Erdogan per proporgli un'azione comune con l'obiettivo di impedire ad Assad di tornare a usare armi chimiche, e più in generale per trovare una soluzione politica condivisa alla crisi in Siria.

Un'iniziativa che non potrà che preoccupare il già teso Putin.

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