Per la Bce l'ex premier Silvio Berlusconi non è idoneo a possedere più del 10% di una banca. Eppure gli «sceriffi» di Francoforte non sono stati così rigidi nei confronti dei vertici del Monte dei Paschi, quando nel 2014 e poi nel 2015 avevano ricevuto segnalazioni sulla presunta contabilizzazione non corretta dei derivati Alexandria e Santorini nei bilanci dell'istituto senese firmati dal tandem Alessandro Profumo-Fabrizio Viola. Segnalazioni che sono al centro di un'inchiesta giudiziaria e che lo scorso 21 aprile hanno convinto il Gup di Milano a chiedere alla procura l'imputazione coatta (ovvero il processo) per i due banchieri, indagati con le ipotesi di reato di falso in bilancio e manipolazione del mercato.
Partiamo dal caso Fininvest. Nell'autunno del 2014 Bankitalia ha imposto alla holding del Biscione la cessione della quota eccedente il 9,9% di Mediolanum (di cui possiede circa il 30%) in seguito alla perdita dei requisiti di onorabilità di Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale. Il Cavaliere ha fatto ricorso contro il provvedimento e il Consiglio di Stato lo aveva accolto. A seguito di un nuovo procedimento istruito da Via Nazionale, però, la Bce a fine ottobre si è opposta alla detenzione di una «partecipazione qualificata» di Fininvest in Mediolanum. L'ex premier ora si è rivolto alla Corte di giustizia europea, accusando la Bce di violare con una decisione sproporzionata la sua libertà di fare business e avere proprietà, due diritti fondamentali nella Ue «derivanti dalla Convenzione europea sui diritti umani».
Nel caso di Mps invece come è andata? Nel 2014 Giuseppe Bivona, ex banchiere in Morgan Stanley e Goldman Sachs, socio e fondatore del fondo Bluebell Partners al tempo piccolo azionista del Monte, comincia a inviare lunghe e dettagliate lettere a Bce, Commissione Ue, governo e a Bankitalia. Nel mirino del «tormentone» Bivona ci sono sempre la qualità dei bilanci senesi e la legittimità dell'aiuto di Stato da quattro miliardi dei cosiddetti Monti bond. In sostanza, secondo Bivona gli aiuti non servirono affatto per ripianare un deficit di capitale prodotto da minusvalenze nel portafoglio di Titoli di Stato acquistati dalla banca ma per ripianare un buco aperto dagli errori della vecchia gestione Mussari con temerarie speculazioni in derivati. Denunce che hanno poi portato la procura milanese ad aprire l'inchiesta sulle responsabilità del tandem Profumo-Viola. Da Francoforte, però, arrivano risposte diverse. Nel febbraio del 2015 il vertice della «supervisione» micro-prudenziale ringrazia Bivona per il suo impegno «nel difendere la trasparenza del mercato» ma specifica che la sua segnalazione «si riferisce a violazioni incriminate legate alla falsificazione della informativa finanziaria da parte degli istituti di credito, la cui supervisione non rientra fra i compiti di vigilanza della Bce» ma compete alle autorità nazionali «che lei può contattare». Insomma, bisogna citofonare a Bankitalia. Eppure la stessa Bce nell'ottobre 2014 aveva riconosciuto che la famosa operazione con la banca giapponese Nomura contabilizzata da Mps come un Btp in realtà era un derivato. Ma Bivona non molla e il 26 aprile scorso ha mandato un'altra lunga lettera alla Vigilanza capitanata da Daniele Nouy aggiornando Francoforte degli ultimi sviluppi giudiziari con tanto di motivazioni del Gup allegate.
In attesa di reazioni da parte di Francoforte, il rinvio a giudizio coatto di Profumo e Viola rischia di mettere in imbarazzo il Tesoro che oggi ha il 4% del Monte ma se Bruxelles darà il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale diventerà azionista di controllo dell'istituto
di Rocca Salimbeni. Lo stesso Tesoro che ha candidato Alessandro Profumo come ad di Leonardo Finmeccanica e che sta aspettando il semaforo verde della Commissione Ue al salvataggio della Pop Vicenza oggi guidata da Viola.
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