Bicameralismo, da quello perfetto a quello confuso

I dubbi dei costituzionalisti: troppi nodi irrisolti. Dai dieci modi di fare le leggi al ruolo del Senato

Bicameralismo, da quello perfetto a quello confuso

Dal bicameralismo perfetto al bicameralismo confuso. Il «copyright» di questa frase è del giurista Gianluigi Pellegrino. Espressione quantomai azzeccata perché quando il ddl Boschi verrà approvato in via definitiva e si entrerà nella nuova era i tanti nodi irrisolti verranno inevitabilmente al pettine.

L'elemento fondamentale di discussione è semplice: il procedimento legislativo diventerà più snello? La risposta è no, visto che sono previsti almeno dieci modi diversi di fare le leggi. Inoltre, come sottolineato da Mario Mauro in aula, la riforma «crea un unicum: un sistema con una Camera e mezza». Un ircocervo sicuramente originale.

Di cosa si occuperà ciò che resta di Palazzo Madama? Sarà veramente una «Camera delle autonomie» oppure si trasformerà in un dopolavoro per sindaci e consiglieri regionali incaricati al massimo di esprimere pareri? E come si concilieranno i suoi compiti con la Conferenza Stato-Regioni? «Questa è una delle grandi incognite» spiega Achille Chiappetti, docente di Diritto Pubblico alla Sapienza. «Un Senato che nasce con membri che di mestiere fanno altro pensa che si metterà a fare le nottate in Parlamento per bloccare un provvedimento? Il vero nodo è che il nuovo Senato così come nasce con il Ddl - che di per sé ha anche aspetti positivi - è delegittimato e difficilmente si contrapporrà a un Parlamento eletto». Ma come saranno ripartite le competenze tra le due Camere? Innanzitutto una «quota» di bicameralismo perfetto resta intatta. Il Senato non esprime più la fiducia al governo, ma alcuni provvedimenti dovranno essere approvati in entrambi i rami del Parlamento, tra cui le riforme costituzionali.

I nodi arrivano quando si passa all'intervento «facoltativo» da parte del Senato. L'articolo 10 recita: «Ogni disegno di legge approvato dalla Camera va immediatamente trasmesso al Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo». A quel punto scattano 30 giorni per proporre modifiche, altrimenti la norma resta invariata. Ci sono, però, altre variabili. Le leggi a tutela dell'unità e dell'interesse nazionale: la Camera avrà l'ultima parola ma dovrà respingere a maggioranza assoluta le proposte dei senatori.

E ancora le leggi di bilancio: il Senato potrà proporre modifiche entro 15 giorni, la Camera potrà ignorarle a maggioranza semplice. «Bisognava sempificare il rapporto tra Stato e Regioni» spiega Massimo Villone, docente di Diritto Costituzionale all'Università Federico II.

«Ma il rischio che la conflittualità che ha già sommerso in passato la Corte Costituzionale possa ulteriormente aumentare c'è tutto. Inoltre non bisogna dimenticare i criteri di selezione dei senatori, scelti tra le file della classe politica regionale, già di per sè personale politico di quarta scelta, oltretutto impegnato a Roma a fare un secondo lavoro. Una soluzione da bar dello sport. Il problema è che questi neo-senatori si occuperanno delle revisioni costituzionali, ovvero della mia e della sua libertà». Questione aperta anche per l'iniziativa legislativa. È stata abolita? La risposta è «ni», visto che a maggioranza assoluta il Senato può richiedere alla Camera di procedere all'esame di un ddl, con il dovere per Montecitorio di farlo entro sei mesi.

Su eventuali e prevedibili conflitti di attribuzione «decidono i presidenti delle Camere d'intesa tra loro». Dizione improntata al più puro ottimismo renziano, visto che nulla si dice sulla procedura da seguire in caso di mancata intesa.

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