Brexit, via alle pratiche del divorzio con il governo inglese mai così debole

La fragilità della May fa traballare la posizione britannica al tavolo

Brexit, via alle pratiche del divorzio con il governo inglese mai così debole

Le procedure per il divorzio sono iniziate poco dopo le 11 a palazzo Berlaymont, il quartier generale della Commissione europea a Bruxelles. Nonostante l'occasione il clima era rilassato, le parole dolci: «Quello che ci unisce è più di quello che ci divide», ha esordito David Davis, capo della delegazione inglese. La sua controparte, Michel Barnier, che guida la task force comunitaria, gli ha regalato un bastone da passeggio, ricevendo in cambio un libro sulle più belle camminate in Europa (il francese è un appassionato sportivo). Poi, si sono chiuse le porte e il duello sulla Brexit è ufficialmente iniziato. Dopo una giornata di discussioni Barnier e Davis sono riapparsi di fronte alle telecamere nel tardo pomeriggio e il buonumore non era passato. «Siamo partiti con il piede giusto», ha detto Barnier. Tutti d'accordo sul calendario dei lavori (fissato fino a ottobre e con il primo appuntamento il 17 luglio) e sui primi temi da affrontare: il conto per le spese a carico di Londra e lo status dei cittadini comunitari che vivono in Gran Bretagna. Sul tema si parla da tempo di una iniziativa «generosa» del governo britannico: chi abita in Gran Bretagna da un certo numero di anni potrebbe ricevere un permesso di soggiorno illimitato. Una proposta potrebbe arrivare nei prossimi giorni.

Un po' a sorpresa invece si è deciso di rimandare la questione del confine irlandese, che sembrava in cima alle priorità negoziali. Ma l'argomento è troppo delicato e potrebbe rivelarsi un problema soprattutto per Londra. Perché la premier inglese Theresa May è arrivata all'appuntamento con la Brexit in condizioni poco meno che disastrose. «Una situazione del genere non la augurerei nemmeno al mio peggior nemico», ha commentato uno dei funzionari europei coinvolti nella trattativa.

Il programma del nuovo governo britannico verrà presentato domani nel tradizionale discorso della Regina, ma la coalizione si regge su un equilibrio precario. Il partitino nord-irlandese Democratic Unionist Party, indispensabile per ottenere la maggioranza, tradizionalista sui diritti civili, vuole un'uscita soft per preservare la frontiera «aperta» con l'Eire. Nel partito Tory a tenere a galla la barca, messa a dura prova dal recente voto, sono stati i 12 eletti in Scozia guidati da Ruth Davidson, lesbica dichiarata e dai toni radicali in campo sociale: anche loro vogliono un addio il più «morbido» possibile. Allo stesso tempo la premier è controllata a vista dagli «hard-liner» conservatori guidati dal ministro degli Esteri Boris Johnson e dal capo delegazione a Bruxelles Davis, che hanno i voti per chiedere una mozione di sfiducia.

Come se ne uscirà? E soprattutto, quale sarà la posizione negoziale britannica? Al momento, e a un anno dal referendum che decise la Brexit, le idee inglesi restano nel merito confuse. Il tempo, tra l'altro, stringe. Bruxelles ha più volte detto che in applicazione dei Trattati comunitari, a due anni esatti dalla notifica dell'addio, e cioè nel marzo 2019, Londra sarà fuori dall'Europa.

Ma di un eventuale accordo dovranno discutere sia il Parlamento europeo sia i singoli Parlamenti nazionali. E quindi dal punto di vista di Bruxelles la fine dei colloqui deve arrivare entro il novembre del 2018. In pratica 16 mesi per districare una matassa fatta da ben 20mila leggi. Il conto alla rovescia è iniziato.

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