Doveva essere il giorno dell'Indipendenza, è stato quello della disfatta. Ieri, il Regno Unito sarebbe dovuto uscire dall'Europa, invece il governo di Theresa May si è visto bocciare per la terza volta dal Parlamento l'accordo negoziato con Bruxelles. Dimenticate quindi quel «Brexit means Brexit» sbandierato con troppa sicurezza dalla premier all'indomani della sua elezione, perché non è quello che è accaduto né quello che accadrà nei prossimi giorni. La mozione messa ai voti ieri ha perso per 58 voti (344 contro 286) e 34 di questi erano voti conservatori. Una sconfitta di minore entità rispetto alle prime due, che però conferma i verdetti precedenti. «Le conseguenze saranno gravi», ha subito commentato May dicendo di esser profondamente rammaricata dal risultato. «Temo che stiamo raggiungendo il limite di questo processo in questa sede ha dichiarato ancora . Il Parlamento ha bocciato questo accordo, ha bocciato il no deal, ha rigettato tutte e otto le alternative messe al voto mercoledì. A questo punto il Paese deve trovare una strada alternativa per proseguire che, quasi certamente, prevede il coinvolgimento nelle elezioni europee». Lunedì la Camera dei Comuni metterà nuovamente al voto alcune soluzioni differenti dall'accordo del governo, ma la confusione sulle mosse future è totale. May ha tempo fino al 12 aprile per chiedere ed eventualmente ottenere da Bruxelles un'altra deroga all'uscita e alla luce del risultato di ieri il presidente del Consiglio Europeo Tusk ha convocato in consiglio straordinario per il 10 aprile.
Lo scenario politico interno britannico rimane tuttavia preoccupante. Mentre un portavoce di Downing Street fa sapere che continuerà a lavorare per trovare un compromesso, il leader dell'opposizione Jeremy Corbyn chiede nuove elezioni. «Il Parlamento è stato chiaro, l'accordo deve cambiare, dev'essere trovata un'alternativa ha affermato ieri il leader laburista e se il primo ministro non è capace di accettarlo, allora deve andarsene. Non in una data ancora da precisare, ma ora, in modo che la gente possa decidere del futuro del Paese attraverso il voto».
Migliaia di persone si sono ritrovate ieri in Parliament Square e la maggioranza erano Leavers furiosi per quello che viene considerato il tradimento della Brexit. Al grido di «Brexit Now», due marce distinte March to Leave, organizzata da Nigel Farage e Make Brexit Happen supportata dall'attuale Ukip sono arrivate fin di fronte al Parlamento, sotto lo stretto controllo della polizia pronta ad affrontare eventuali scontri. Gli animi infatti erano surriscaldati, quando è stato reso noto il risultato finale della votazione molti hanno iniziato a gridare «vergognatevi!», mentre sui volti si leggeva una rabbia crescente che non faceva presagire nulla di buono. «Vogliamo che il Regno Unito esca dall'Unione il 12 aprile senza accordo, ma non credo che lo farà», ha spiegato Nigel Farage, principale organizzatore della marcia Leave means Leave, partita da Sunderland due settimane fa, che si era data appuntamento a Londra per festeggiare l'Indipendenza. Invece ogni festeggiamento nel Paese è stato cancellato, almeno per ora.
Così come rimangono nel deposito della Royal Mint i pochi esemplari della moneta celebrativa da 50 pence preparata dal governo per ricordare l'uscita dall'Unione Europea. «Pace, prosperità e amicizia con tutte le nazioni», c'è scritto sopra. Un augurio che appare fuori luogo nella situazione attuale, inquinata dal risentimento e dall'incertezza.
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