E se Weinstein servisse solo a colpire Trump?

Il caso è una palla di neve che sta assumendo via via i contorni di un'enorme valanga che spazza via ogni cosa

E se Weinstein servisse solo a colpire Trump?

Infinite le domande che le intelligenze più vive dell'establishment, quello vero, non quello succube dell'insopportabile polltically correct dei fighetti di New York e di Silicon Valley, si stanno ponendo sulla vicenda sex-hollywoodiana di Weinstein. Una palla di neve che sta assumendo via via i contorni di un'enorme valanga che spazza via ogni cosa.

Senza uno straccio di prova, mi lancio in una conclusione avventurosa: «Per abbattere un caprone politico (Trump) ci vuole un caprone espiatorio (Wienstein)?». I mandanti saranno il rarefatto mondo liberal newyorchese, attraverso il suo house organ, il New York Times, e quello altrettanto rarefatto ma digitale di Silicon Valley, attraverso l'house organ di Amazon, il Washington Post?

Assumo che l'operazione sia stata pianificata, a tavolino, dai due quotidiani, con il primo leader, il secondo follower, sapendo perfettamente che avrebbe prodotto danni collaterali al mondo liberal di Hollywood, e indirettamente a loro. Il tema sesso-potere è oggi diventato un processo a due vie, da argomento che non ha mai stupito nessuno, a gossip d'accatto.

Fin dallo ius primae noctis di medioevale memoria lo scambio sesso-potere ha connotato le relazioni fra noi umani. Nel mio libro «Una storia operaia» racconto di mio nonno che durante gli anni più bui della guerra, quando il pane, legato alla tessera annonaria, era una sommatoria di briciole dal sapore del marmo, ci procurava due chili di pane fragrante al giorno grazie alla sua fisicità (siffrediana), apprezzata dalla panettiera del civico adiacente.

Durante la mia lunga vita in Fiat il duo sesso-potere l'ho spesso incontrato nelle sue infinite sfaccettature, dal basso, al medio, all'alto livello. Dal capo officina che si procurava le prede più golose fra le colleghe operaie distribuendo turni e attività meni usuranti a quegli enti Fiat, come l'amministrazione e le relazioni esterne, ove il professor Vittorio Valletta imponeva solo manager donne e toccava ai giovani maschi l'attenzione di stagionate virago. E poi le prime varianti dell'omosessualità nel suo incontro con il potere aziendale. Era vissuta non come fatto morale, ma come pericolo per l'azienda: si diceva «È ricattabile!» e carriera finita. Oggi la stessa cosa succede a chi è sospettato di omofobia.

E arriviamo alla mia ipotesi avventurosa «Ora toccherà a Trump». Non ho uno straccio di prova, ho solo il ricordo della strategia delle «dieci domande» di Repubblica per abbattere Silvio Berlusconi. Rilette ora risultano paurosamente invecchiate, hanno un'imbarazzante volgarità analogica rispetto a quella digitale del caso Weinstein. Comunque, Berlusconi pagò a caro prezzo (politico e umano) l'attacco giornalistico. Conoscendo la faziosità dei due giornali americani, si può pensare che l'operazione Weinstein sia la copertura ipocrita per l'attacco finale alla presidenza Trump. La lingua italiana coglie la differenza fra stupro e molestia, invece nel caso Weinstein non sono ammesse sfumature: uno è orco, l'altro è agnello. Trump dell'orco ha il profilo e la sostanza.

Attendiamo sereni come si muoverà il duo New York Times-Washington Post, nell'alveo della loro raffinita volgarità. Intanto, quatto quatto, Xi Jinping sta rendendo esplicito il passaggio dall'American Dream al China Dream. Prosit.

www.riccardoruggeri.eu

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