Caro amico ti scrivo... Così mi Granzotto un po'

Un volume raccoglie alcune delle migliori risposte ai lettori del fondatore de «Il Giornale»

Caro amico ti scrivo... Così mi Granzotto un po'

di Matteo Sacchi

Dentro un quotidiano esistono tante specializzazioni, tante professionalità. Non mi metterò ad elencarle, il nerista non ammetterebbe mai che quel «loffio» del redattore culturale lavori quanto lui e viceversa. Però di certo esiste una pratica complessa, anche se non all'apparenza, che soltanto poche penne sono capaci di affrontare: il botta e risposta quotidiano con i lettori nella pagina delle Lettere. Le regole del gioco, di per sé, sono ardue. Una miriade di argomenti possibili, spazi ristretti, tempi incalzanti. Senza contare la necessità di assiduità e costanza, qualità queste che a molti giornalisti - siamo una categoria di curiosoni facili alla noia - mancano.

Ecco tra i grandi del giornalismo italiano uno dei più brillanti a coltivare il rapporto con i lettori è stato Paolo Granzotto (1940-2016). Paolo Granzotto, tra i fondatori de Il Giornale (di cui è stato anche vicedirettore e direttore), ha scritto, in una lunga carriera, moltissimo e dei più svariati argomenti. Eppure se c'è una cosa che è rimasta indelebilmente nel cuore dei lettori, è il suo «Angolo»: quel colonnino, là in fondo al Giornale - penultima pagina - che molti lettori però aprivano prima ancora di sfogliare tutto il resto.

Ecco perché si è deciso di dedicare un volumetto, che da questa settimana trovate in allegato al nostro quotidiano, ad alcune delle migliori risposte sfornate dal Granzo. Ecco, sì, prima di discettare di stile - ne aveva uno inimitabile - e di stilemi - di questi ne aveva moltissimi e li cambiava alla bisogna - rimaniamo a quello che «sfornava» ogni giorno. Rispondere alle lettere dei lettori è lavoro da fornaio. Va fatto tutti i giorni, che si abbia voglia oppure no. Tanti grandi giornalisti hanno preso in mano una rubrica di lettere con risposta. Un mese, due, un anno... Poi fine, prosciugati, stanchi. Al massimo capaci di rispondere: «Ciao, bau, maio, hai ragione tu caro lettore».

Granzotto no. Avendo il sottoscritto spesso svolto il ruolo della controparte al desk, cioè di colui che si occupava di disporre in pagina il «pane» sfornato da Granzotto, posso garantire di avergli visto rispondere al lettore: con la febbre, dolorante, triste, in vacanza, nei giorni di sole, con la pioggia, da scocciato, da divertito. Insomma in tutte le condizioni possibili. Ci aveva messo la faccia, la sua e quella dei suoi cani (nel fotino della sua rubrica), e avendocela messa dava il massimo. E senza accondiscendenza. Molto spesso i rubrichisti sono dei lisciatori dei loro corrispondenti. Il Nostro invece non faceva sconti. A provocarlo su certi temi - il riscaldamento globale, le magagne dell'Unione Europea o l'immigrazione - il lettore rischiava di vedersi rispondere per le rime. E qui arriva lo stile. La polemica era sempre portata avanti a colpi di ironia, mai a colpi di clava. Basti ricordare il «Premio patacca Sahaf» (dal nome di un molto mendace ministro dell'informazione di Saddam Hussein) che quando veniva attribuito da Granzotto garantiva ai lettori l'arrivo delle «comiche».

Nel volumetto che da domani sarà in edicola con Il Giornale il lettore ritroverà molta verve polemica: l'invito a mettersi a pedalare per chi non vuole l'energia nucleare, ad esempio; o una tirata sulle smanie legiferatrici della Ue a partire dall'elogio della moschirola. Ma anche la cultura garbata e mai invadente che Granzotto metteva nelle sue risposte. Poteva partire dalla parola più abusata del dialetto lombardo - «pirla» - e costruire ad uso di chi glielo chiedeva un mini saggio sulle isoglosse del piano padano. Oppure - ancora - leggete la gustosissima risposta che marca la differenza tra una sgallettata in tanga e un'amante...

E sì. Non se ne è fatto cenno sin qui, ma mel libretto troverete anche alcune delle chicche riservate dal Nostro a Lei, si proprio Lei, la «Presidenta» Laura Boldrini. Un duello a distanza accesissimo. Cattivo? No, sferzante semmai. Irriverente anche. Non era da Granzotto essere cattivo con le signore. C'era una precisa alchimia in tutte le sue risposte, e anche nei suoi articoli. Correva come un funambolo sulla lama dell'ironia senza mai scivolare dall'altra parte, senza mai cadere in quella palta appiccicosa che ogni tanto schizza i comici alla Gene Gnocchi (tanto per capirsi).

Tant'è che ogni tanto arrivava la telefonata: «Leva quell'aggettivo lì, mettici quest'altro...». E qualche volta anche un cambio al volo, quando il cronista tornava ad avere il sopravvento sul rubrichista. Ma mai in orari impossibili: conosceva troppo bene la fatica dei suoi colleghi.

A Konigsberg regolavano gli orologi sulla passeggiata di Kant. In via Negri si sarebbero potuti regolare sull'arrivo dell'«Angolo» di Granzotto. E dal 2016 ci pesa non poterli regolare più così, ridendo sul «premio patacca» di giornata.

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