Caro seduttore, grande (solo) nelle promesse

Annamaria Bernardini de Pace scrive la sua "lettera d'estate" al maschio seduttore, tante promesse e pochi fatti. Domani la risposta dell'uomo alle sue accuse (spietate)

Caro seduttore, grande (solo) nelle promesse

Caro Seduttore,

Non ho armi né stratagemmi. Credo all'amore, ma ne temo gli eccessi, che distorcono e confondono i sentimenti. Le chiacchiere e i vagheggiamenti nostalgici mi intristiscono quanto i corteggiamenti involuti. Tu, alla fine, appunto, sei proprio triste. Eppure non si direbbe. Bello, elegante, informato sull'arte, sui profumi, sui marchi femminili. È delizioso chiacchierare con te anche di gossip, di film e di social network. Tra un viaggio e l'altro giochi a calcetto, provi i tuoi abiti su misura, leggi l'ultimo libro e sei sempre abbronzato. Puntuale sugli sms, strepitoso nella scelta dei fiori, tenero quando dici di confessare le tue fragilità.

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In sostanza inutile e volteggiante come una libellula. Sei ricco soprattutto di obiettivi non raggiunti. Di fatue promesse d'amore. Di appuntamenti sterili. Non riesco ancora a capire come tu abbia potuto avere successo nel lavoro. Suppongo che sia stato capace di corteggiare colleghi e interlocutori con la stessa grazia che usi con le donne. In effetti all'inizio è difficile dirti di no. Il primo appuntamento è un evento che sai predisporre con raffinata lentezza, mostrando di desiderarlo caparbio e tuttavia procrastinandolo per ingovernabili sopraggiunti impegni. Poi ti scusi con garbata costernazione, ti impegni di nuovo, manifesti il tremito dell'attesa. Suggerisci perfino come mi vorresti vedere vestita. Gonna di seta fluttuante, sandali tacco 12, tanga di pizzo. Il giorno è un'ipotesi, l'ora è un optional. Non è semplice, lavoro anch'io, tenersi a filo di parrucchiere, ceretta, massaggio d'oli profumati.

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Eppure è tale l'aspettativa che crei e descrivi, da non porre alternative. Forse hai bisogno di non concedere alla donna alcun vantaggio. C'è qualcosa di assolutamente conflittuale e drammatico, al di là dell'apparente leggiadria, nel tuo proporti all'universo femminile. Il tuo comportamento suggerisce che hai paura della donna, che nutri ostilità, che la controlli e ti metti in competizione. Ma nessuna può accorgersene subito, stordita com'è dalle parole, dalle promesse, da continui e sorridenti pensieri. Ecco perché fai tristezza: amoreggi con chi detesti. Tutto e tutti diventano testimoni delle tue imprese ardue e vittoriose, ma non conquisti mai il bottino, restando vincente solo nell'attesa. Forse tu tenti di distruggere il tuo nemico prima di trovartelo di fronte. E quando ce l'hai sul terreno da combattimento, lo stordisci in un attimo.

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La tua risorsa è nel nutrire l'immaginazione di una donna, che è priva di governo quando è sapientemente guidata e manipolata, quando la vanità e l'illusione d'amore sono solleticate. Non c'è niente di meglio che una donna sappia fare del tormentarsi. Mi hai illuso per mesi, hai eccitato il mio erotismo a tal punto che vivevo ogni attimo come se precedesse l'esplosione di una passione incontenibile. Non sono mai stata così bella e così infelice e così pronta. Al niente, dopotutto. Quando finalmente hai sparato, dal tuo sontuoso cannone è uscita una ridicola pallina da ping pong. Sei triste anche nel fare l'amore. Banale, ridicolo e scontato. Il tuo pallido e tiepido attrezzo da combattimento tremava insicuro, al suono delle tue parole inutilmente audaci. La lingua irresoluta e le carezze goffe spaziavano intimidite sul mio corpo proteso, che cercava invano impulsi di forza. Ero disorientata e mi veniva da ridere. Sarebbe stato semplice, è stato il mio primo istinto, alzarmi dal letto e andarmene dopo averti fatto pagare l'amarezza delle mille illusioni sminuzzatesi in pochi gesti impacciati. Gesti che l'uomo racconta nella sua storia millenaria, e nascono dal gusto dell'incontro voluto e atteso per onorare il corpo della donna. Un uomo. Non tu, privo di tutto e vestito della tua sola nudità. Fiero del tuo inconsistente membro, come fosse il dono più prezioso col quale celebrare una donna. Che non è un corpo nudo, ma il frutto di una storia ogni volta diversa e irripetibile. Ogni donna porta in sé ferite antiche e nuove energie. Torve paure e magica speranza. Anche una donna inutile, o cattiva, o incapace ha in sé la potenza ancestrale e il bisogno urgente di accogliere l'uomo nel suo corpo. Cui si accede con baci e carezze.

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L'efficacia di una carezza narra sempre i pensieri di chi li fa; la lingua vivida e irruente è prova del volere insinuarsi anche nelle pieghe dell'anima; l'energia degli abbracci indica il desiderio di appartenenza. Il sesso è dunque anche un'espressione del sentire e dell'essere. Tu invece sei cieco e sordo. Sai solo parlare per nutrirti e intrappolare gli altri. Ma le tue parole sono inconsistenti come bolle di schiuma ed evaporano, scappano da tutte le parti, non le puoi conservare. Perché non nascono da pensieri veri e non si esprimono in fatti reali. Anzi, non sono per nulla coerenti ai fatti che poni in essere.

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Tu mi hai offesa. Tanto. Hai trascurato la mia storia di donna, non hai dato peso ai sentimenti che hai provocato con le tue parole; hai disonorato la tua anima esprimendola in una piccola sessualità. Ancor più piccola della tua anima stessa. Il sesso è la sintassi dei pensieri che uniscono due persone, e tu l'hai esposta, balbuziente, in una lingua elementare. Meschina e rattristante. Ero lì tra questi pensieri confusi e già fastidiosi, pronta quasi a dirti qualcosa di sferzante, quando ho percepito che forse avevi già terminato la tua mite impresa, perché mi stavi chiedendo «ti sono piaciuto?». Non, «ti è piaciuto?», frase conclusiva insopportabile, ma almeno sintomo di un certo interesse. Questo inedito «ti sono piaciuto?» mi ha disorientata, ma all'unisono eccitata nella voglia di vendicarmi di un cretino, presuntuoso, inutile narcisista.

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Senza quelle tue parole, madri del tuo vivere, la cosa sarebbe finita lì nel nulla della tua incapacità di esistere, finalmente rivelatasi. Con la mia lucida delusione, obiettiva insoddisfazione e sana determinazione di cancellarti. Mi avevi fatto anche un po' pena. Forse non ti avrei mai suggerito di frequentare i boy scout per acquisire quel minimo di virilità che ti manca. Non avrei neppure osato paragonare ciò che tu definisci il «destriero infuocato al galoppo» a una pecorella smarrita nel bosco. Non ti avrei mai rivelato che le sensazioni da te provocate mi hanno regalato l'entusiasmo suscitabile dal bere l'acqua fradicia di una pozzanghera, quando ti aspetti invece il vigore della bevanda ghiacciata. Mai ti avrei detto che le tue parole creano un mondo abitabile solo da te, incurante di concederti un solo istante per vivere una vita pensata, cercando di cogliere negli altri argomenti per osservare la realtà.

Che cosa dovevo risponderti? Che sei un mago con le parole e un puffo alla resa dei conti? Ho preferito dirti, ambigua, «meriti una lettera d'amore, per descriverti quanto mi sei piaciuto». Eccola.
La tua "conquista"

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