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La casa dello scandalo cuore di uno sporco affare

L'appartamento monegasco fu comprato con denaro riciclato. Altro che veleni contro Fini

La casa dello scandalo cuore di uno sporco affare

Roma - Tutto già scritto dalla macchina del fango. Le società offshore, le opacità di un affare che nascondeva molti lati oscuri, la brutta storia di un'eredità lasciata al partito e finita al «cognato». Quella casa a Montecarlo, in Boulevard Princesse Charlotte, che la contessa Colleoni donò ad An per la «buona battaglia» ma che finì invece nella disponibilità di Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, compagna di Gianfranco Fini, all'epoca leader del partito.

Quella storia venne alla luce grazie a questo quotidiano. Più precisamente per un'indiscrezione arrivata a Livio Caputo, storica firma del Giornale, trasformata in scoop dalla missione esplorativa monegasca di Gianmarco Chiocci, ora direttore del Tempo, che prima di finire fotosegnalato ed espulso come indesiderabile dal Principato, riuscì a citofonare a Tulliani e a confermare che nella casa di proprietà di An ci viveva lui. Poi è saltato fuori il resto. Il contratto di compravendita da An alla offshore Printemps, a luglio 2008, per 300mila euro, prezzo ridicolo rispetto alle quotazioni. La seconda cessione, tre mesi dopo, dalla Printemps alla Timara (con un sovrapprezzo di 30mila euro), altra offshore gemella della prima, controllata dallo stesso gruppo, il Corpag di Saint Lucia, isoletta-paradiso fiscale ai Caraibi. Le bollette delle utenze di Tulliani domiciliate all'indirizzo monegasco di James Walfenzao, uomo Corpag, rappresentante della Printemps in occasione della prima compravendita e, salterà poi fuori, stretto collaboratore del re dei casinò Corallo, vicino storicamente ad An. E ancora, il dipendente di un mobilificio che ricordava di aver visto Fini e la compagna in negozio per ordinare la cucina «per una casa all'estero». E soprattutto le smentite in sequenza - la cucina è in Italia, Tulliani ha solo individuato un acquirente, il prezzo era congruo, le offshore non c'entrano col «cognato» - dei vari protagonisti dell'affaire, smentite purtroppo per loro sbugiardate regolarmente dai fatti, dalle foto, dai documenti, infine dal governo di Saint Lucia che certifica l'ovvio: le due offshore sono riconducibili a Tulliani.

Eppure il Giornale viene messo alla berlina. L'indagine della magistratura archiviata in fretta. E un'inchiesta giornalistica fatta sul campo, con migliaia di chilometri e chilometri di carte tra Roma, Montecarlo, Santo Domingo, Saint Lucia, finisce derubricata a «macchina del fango».

C'è voluta l'inchiesta per il riciclaggio milionario del re delle slot Francesco Corallo, a provare una volta per tutte che la storia era quella che abbiamo raccontato, che non abbiamo aggiunto o inventato niente, anzi. Alcuni retroscena vengono fuori solo ora, come la prova del rapporto Tulliani-Corallo (chi li avrà fatti conoscere?), la procura data a due avvocati da Elisabetta Tulliani in quanto rappresentante della Timara - alla faccia del «non c'entriamo niente» - poco prima dell'ultima compravendita, questa sì a prezzo di mercato, quando i Tullianos hanno incassato quasi 1,4 milioni di euro per quell'appartamento. Comprato a 300mila euro, val la pena ribadirlo, e con soldi che erano stati trasferiti al notaio monegasco da un collaboratore di Corallo. Che dunque ha pagato la casa di Montecarlo per conto del cognato di Fini, oltre a fare alle offshore di Tulliani altri due bonifici per 900mila euro. Il «cognato», uno che alla macchina del fango ha sempre preferito le Ferrari, è tutt'altro che un tranquillo procacciatore di acquirenti, secondo la Dda di Roma.

Che lo indaga insieme al padre Sergio, ritenendoli riciclatori per la «banda» di Corallo, proprio grazie ai conti correnti dei due e a quelli delle offshore di Giancarlo.

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