Dalle due salette separate allestite per la preghiera del mezzogiorno è un via vai di uomini in giacca e signore col velo. L'odore del caffè è l'unico profumo che emana il buffet completamente halal, senza carne di maiale, come vogliono i dettami musulmani. L'alcol è bandito. Nella fila di bottiglie accanto alle caraffe di succhi di frutta il vino è rigorosamente analcolico. Lo produce un'azienda italiana che qui sponsorizza la propria certificazione religiosa formato Allah. Gli hotel nei dintorni erano stati accuratamente formati in vista dell'evento: Corano nelle stanze, tappetino e menù muslim friendly. Non siamo sotto la bandiera della Mezzaluna, ma sotto quella grillina del sacro blog, nel secondo comune a guida M5s. Centro congressi di Torino, terzo forum della finanza islamica, il primo della nuova amministrazione con cui Chiara Appendino ha archiviato l'era Fassino.
Due giorni di full immersion nel vocabolario finanziario e culturale dell'Islam per costruire una città a misura di Sharia, dentro le etichette di «integrazione» e «opportunità economica». «È l'unico convegno di questo genere organizzato da un comune», ha detto la sindaca della due giorni che segue la missione istituzionale a Dubai dello scorso ottobre. «Noi guardiamo con grande interesse a questo mondo non solo per le indubbie capacità di business ma per la tendenza all'inclusione sociale». Eccola, la strada tracciata per diffondere il «nome di Torino a Oriente», sintetizza il suo assessore al commercio Alberto Sacco.
L'occhio è rivolto al turismo d'élite e ai fondi di investimento. Ma non è tutto. In verità, la Torino «modello», come la definisce la comunità islamica locale, sta già cambiando pelle sulle esigenze dei 50mila immigrati residenti sotto la Mole, a maggioranza marocchina e magrebina. Oltre 5.400 pasti halal serviti ogni giorno nelle mense scolastiche, corsi di cucina musulmana nelle classi degli istituti professionali dove studiano aspiranti cuochi italiani. E poi, protocolli di intesa in ambito sanitario, per istituire reparti che rispettino le rigide prescrizioni sulla promiscuità e sulla separazione dei sessi, ci spiega il professore Pietro Biancone, docente di finanza islamica all'Università di Torino. Un discorso «aperto anche con le farmacie», per portare al banco medicinali dagli ingredienti compatibili con il credo. Resta l'ultimo tassello. La finanza. E il mercato immobiliare.
Gli islamici «non comprano case», perché i mutui sono vietati dai principi etici della finanza musulmana, che esclude qualsiasi strumento finanziario che comporti degli interessi. Ecco perché nell'attesa che si avveri il sogno della prima banca islamica italiana proprio a Torino, il Comune, confermano Biancone e l'assessore Sacco, discute con i tribunali di un protocollo per consentire agli acquirenti il pagamento a rate degli immobili sulle vendite a incanto. «Se si offre loro la possibilità di accedere al credito senza violare le prescrizioni del Corano permettendogli di acquistare una casa o di aprire una attività, si può compiere un passo verso l'inclusione sociale», riflette Appendino.
E se per il capogruppo leghista Fabrizio Ricca «non è così che si fa l'integrazione», Lorenza Morello, professionista torinese che si occupa di finanza commenta: «Colpisce di questa convention il pranzo halal e la preghiera. Si immagina se facessimo così a Cernobbio? E in un momento di difficoltà di accesso al credito certe misure non possono che apparire dei favoritismi».
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