Due righe che sono insieme un pasticcio e un passo indietro scivolosissimo. Potenzialmente devastante. Due righe che consegnano le imprese, già in gravissima difficoltà per l'emergenza Coronavirus, ai sindacati e al loro potere di veto. Il decreto appena sfornato dal Governo inserisce infatti una strettoia micidiale nella corsa dell'imprenditoria tricolore ai prestiti e alle iniezioni di liquidità. Le garanzie dello Stato sui finanziamenti attesi come l' ossigeno arriveranno solo se le imprese berranno l'amaro calice delle volontà sindacali.
Il testo è ermetico come una poesia di Ungaretti ma il senso di marcia è fin troppo chiaro: le garanzie sugli assegni contro il rispetto del verbo sindacale. Il punto chiave è il comma 2, lettera I dell'articolo 1, quello che insomma indica le condizioni necessarie per avere le spalle coperte. É qui che scatta o potrebbe scattare la trappola: «L'impresa che beneficia della garanzia assume l'impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali».
La cautela davanti a una norma scolpita con poche parole, e per di più soggetta ad una possibile modifica in Parlamento, é d'obbligo, ma, insomma, il sindacato si infila nelle procedure, già contorte e farraginose, e si conquista uno spazio di manovra straordinario: esuberi e licenziamenti dovranno essere discussi per arrivare ad una mediazione accettabile per tutti.
«La norma - spiega l'avvocato Cesare Pozzoli, giuslavorista milanese - è stata scritta male ma complica un cammino che è già un susseguirsi di curve e tornanti». L'industria in affanno dovrà aprire ogni volta una trattativa sfiancante prima di trovare un nuovo assetto e un nuovo equilibrio. «Attenzione - aggiunge l'avvocato - questo meccanismo, mimetizzato fra un comma e l'altro, potrebbe teoricamente valere per le grandi imprese, per le medie e per le piccole. Per il colosso e per l'azienda che oggi boccheggia e di tutto avrebbe bisogno, tranne che di caricarsi sulle spalle altre conflittualità, preoccupazioni e incertezze interpretative».
Non solo, non ci sono paletti temporali all'intervento sindacale, si navigherà a vista, fra fughe in avanti, frenate e minacce di strappi. E questa scelta conferma l' alto tasso di dirigismo e statalismo contenuto nel dna dell'esecutivo Conte: «Prima di questo decreto, ce n'è un altro - ricorda Pozzoli - ai limiti della costituzionalità, che già impedisce i licenziamenti per 60 giorni fino al prossimo 17 maggio 2020. Salvo, naturalmente, ulteriori proroghe».
In questo modo, con il doppio lucchetto normativo, le imprese perdono quel minimo margine di flessibilità, diventano più rigide nella loro composizione e in una certa misura vengono militarizzate. «Inutile aggiungere - é la conclusione dell'esperto - che il decreto dell'8 aprile spalanca le porte all'intervento a gamba tesa della magistratura che potrebbe chiedere, di volta in volta, le carte e modificare le decisioni delle aziende».
Fra procedimenti, ricorsi e verdetti. Le garanzie tanto attese potrebbero insomma diventare il cappio al colo per segmenti interi del nostro già vacillante sistema produttivo. Costretto a inchinarsi per ricevere l'obolo.
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