Complottisti in ritirata Dalla macchina del fango alla notizia nascosta

I giornali che sposarono il teorema-dossieraggio adesso occultano la prova che era tutto vero

Complottisti in ritirata Dalla macchina del fango alla notizia nascosta

La macchina del fango non esiste, ma la macchina del gambero si è rotta. Dopo aver sparato sul Giornale e sugli altri quotidiani che ci avevano seguito nell'inchiesta sulla casa di Montecarlo, trattando l'inchiesta come di killeraggio di un nemico politico e non come l'approfondimento di una notizia indiscutibile, ora è il momento della verità.

L'indagine dell'Antimafia sul presunto riciclaggio milionario del Gruppo di Francesco Corallo, il re delle slot, rivela che era tutto vero, anzi di più. Però i giornali che all'epoca cavalcarono, chi più chi meno, la teoria della «macchina del fango» e delle varie deviazioni con gli 007 in azione dietro le spalle di giornalisti-fantocci, adesso, più che fare dietro-front preferiscono mantenere un basso profilo. Se ne avvantaggia Corallo, il cui arresto finisce poco evidenziato sui grandi quotidiani, di solito più attenti a dar spazio e visibilità a vicende giudiziarie simili. E invece.

Non c'è traccia del blitz nella prima di Repubblica, per esempio, che racconta la vicenda solo a pagina 19, relegando la questione della casa al catenaccio. Niente vetrina in prima pure per la Stampa, che però titola sui soldi del riciclaggio utilizzati per «la casa del cognato di Fini», mentre il Corriere della Sera concede alla storia un piccolo richiamo al piede della prima pagina.

Già sei anni fa le «grandi» testate del giornalismo nostrano si avvicinarono all'affaire scoperchiato dal Giornale con molti sospetti, quando non con aperta ostilità. Repubblica, per esempio, sostenne in alcuni articoli la posizione difensiva dello stesso Fini, affondando i colpi contro la «macchina del fango» entrata in azione, va da sé, su ordine di Silvio Berlusconi. E Fini, che oggi fa un parziale mea culpa pur dicendosi coglione ma non corrotto, per delegittimare l'inchiesta concesse la sua verità (traballante) in otto punti non al Giornale che da settimane chiedeva lumi ma al Corriere, che aveva suggerito alla terza carica dello Stato un «chiarimento necessario», ottenendolo a stretto giro di posta.

Alla fine, però, a Saint Lucia gli inviati di quotidiani e tv c'erano (quasi) tutti, salvo poi affrettarsi a rispolverare il teorema della «macchina del fango» all'apparire in scena di personaggi alla Lavitola che tentavano di sfruttare la vetrina, come se l'inchiesta l'avesse fatta l'Avanti e non il Giornale. La strana lettera «minatoria» indirizzata a Berlusconi dell'ex editore-direttore dell'Avanti (mai spedita ma ritrovata nel pc di un imprenditore dai pm napoletani), era addirittura diventata la pistola fumante, la prova indiscutibile che l'inchiesta fosse tutta una bufala, anzi peggio, tutta una montatura, con l'immancabile appoggio di servizi segreti e diplomazie asservite. E tutto sommato questa vulgata si sarebbe tramandata ai posteri senza il benemerito lavoro d'indagine dello Scico a ristabilire la verità e a inserire, anzi, l'affaire in una storia più ampia dai torbidi confini.

Perché in quel 2010 a scaldare il clima, mettendo noi e non i protagonisti di una storia dall'odore spiacevole sul banco degli imputati, furono non solo i quotidiani ma anche i politici. Complice la stagione dei veleni, il Giornale all'epoca si è ritrovato addirittura denunciato per stalking dal braccio destro di Fini, Italo Bocchino, che si diceva certo che la campagna fosse una bufala, che la casa non fosse di Tulliani e che dunque la nostra inchiesta fosse stata orchestrata per mero killeraggio. Forse non è un caso che oggi sul Secolo d'Italia, quotidiano web da lui diretto, non sembra esserci traccia della nuova inchiesta.

Anche all'epoca il Secolo, che era testata ancora cartacea di provata fede finiana, non fu affatto tenero con il Giornale e con la campagna sul caso Montecarlo. Sollevando domande inquietanti che evocavano tanto per cambiare un ruolo delle barbe finte nella nostra inchiesta, tratteggiata più come un subdolo complotto che come il lavoro di colleghi, e parlando espressamente di «dossieraggio grottesco», non di giornalismo. Ieri su Facebook l'allora direttrice del Secolo, Flavia Perina ha commentato la «svolta» con una lettura politica sul dubbio spessore di certi esponenti della fu Alleanza nazionale, oltre a ricordare la coincidenza con il voto di sfiducia a Berlusconi del 14 dicembre 2010. Quanto al merito, però, l'ex direttrice scrive di considerare Fini, anche alla luce delle ultime rivelazioni, vittima di una «doppia sòla».

Prima fregato dai familiari e dall'amico Laboccetta (che avrebbero orchestrato lo «scippo» della casa da An sotto il naso del capo) e poi ancora da Laboccetta «o da qualcuno dello stesso giro» che avrebbero consegnato Fini «alla gogna mediatica dell'estate 2012». Peccato che quella non fosse una gogna mediatica, ma una notizia.

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