Cronache

La comunità salva le vite I processi inutili la uccidono

Centro di eccellenza, esce dalla Legacoop e iniziano i guai: 47 visite dei Nas e denunce finite nel nulla, ma l'attività ormai ha chiuso. E tre ex ospiti sono morti per droga

La comunità salva le vite I processi inutili la uccidono

C'era una volta una coop sociale che rappresentava un'eccellenza per l'Italia centro-meridionale. Si chiamava Cearpes, sede a Sambuceto (Pescara), accoglieva ragazzi con gravi disagi, malati psichiatrici, tossicodipendenti, persone abbandonate. Convenzionata con l'ospedale Gemelli di Roma e la clinica psichiatrica di Chieti, aveva oltre cento dipendenti e una cinquantina di ospiti in due strutture abruzzesi, a San Giovanni Teatino e Catignano.

Un brutto giorno di nove anni fa si aprirono le cateratte della giustizia italiana: ispezioni, indagini, sequestri, processi sommati a invidie e calunnie. Ora la vicenda è chiusa con assoluzioni per tutti. Nessuna delle accuse ha retto. Ma non hanno retto nemmeno la coop (azzerata), i lavoratori (rimasti a piedi) e gli ospiti, sballottati tra altre comunità e le carceri. Tre di loro, tossicodipendenti avviati al recupero, sono morti per overdose. Condannati dalla malagiustizia, senza sentenze e senza appello.

La Cearpas (Centro aggiornamento ricerche pedagogiche, economiche e sociali), fondata nel 1986 e iscritta a Legacoop, fatturava 5 milioni di euro. Era considerata un modello, nel 2003 fu visitata anche da Massimo D'Alema e Livia Turco. Quando cominciarono le ispezioni, l'anno dopo, il presidente Dominique Quattrocchi chiese una mano a Legacoop Abruzzo. Gli fu risposto che doveva sottostare a una coop sociale di Reggio Emilia sua concorrente. Quattrocchi si rivolse alla Cgil, ma l'allora segretario regionale del sindacato rosso pretese 40 tesseramenti e l'assunzione del figlio.

Il povero Quattrocchi assunse il giovane e altre due persone segnalate da Legacoop, ma non fece le tessere. In un clima pesantissimo, Cearpes lasciò Legacoop per iscriversi a Confcooperative. Franco Leone, leader della Cgil abruzzese denunciò presunte irregolarità e inadempienze e fu controdenunciato per minacce ed estorsione. E giunse la mazzata: nel maggio 2005 due minori che sostenevano di aver subito maltrattamenti vennero tolti alla comunità. Scattarono nuove ispezioni e perquisizioni. Sul registro degli indagati furono iscritti 19 tra responsabili e dipendenti della coop per sequestro di persona e maltrattamenti. Gli ospiti vennero trasferiti e la coop svuotata.

Nell'arco di un anno si contano 47 visite tra Nas di Pescara, carabinieri di Rosciano, ispettori del Lavoro e delle Finanze. Quattrocchi si difese sventolando i protocolli sanitari: le cinghie di contenzione dovevano evitare gesti di autolesionismo e gli psicofarmaci erano previsti dalle terapie psichiatriche dei policlinici.

«Che cosa dovevamo fare per immobilizzare un giovane schizofrenico che cercava di tagliarsi le vene?», si chiese il manager.

Nel settembre 2006 vengono rinviati a giudizio 32 tra responsabili e operatori della coop con accuse gravi: maltrattamenti, violenze fisiche e psichiche, minacce, lesioni, sequestro di persona, abuso di autorità e di relazioni domestiche. Per non interrompere il servizio, l'attività di Cearpes viene ceduta alla Lilium Onlus (che la gestisce tuttora). Nel pieno della bufera mediatico-giudiziaria, Quattrocchi e il presidente della Lilium vengono anche rinviati a giudizio per bancarotta fraudolenta. Indotta dalle indagini.

L'assoluzione per la bancarotta è del 2013: per la Corte d'appello di Pescara il fatto non sussiste. Alcuni mesi fa anche il Tribunale di Pescara ha assolto con formula piena i 32 indagati per le presunte violenze: non erano maltrattamenti ma l'applicazione dei protocolli per malati psichiatrici. Quattrocchi è uscito assolto da 16 processi: «Non sono un appestato – dice – e la mia comunità, che accoglieva gente rifiutata da tutti, non era un lager».

Tutto bene ciò che finisce bene? No. Per 26 ragazzi si è interrotto il percorso di recupero. Quattro sono finiti in carcere per vari reati e altri dieci inseriti in strutture di contenimento. Cento dipendenti hanno perso il posto: 12 di essi erano in reinserimento, sette hanno ripreso a drogarsi, tre sono morti di overdose. Otto milioni di euro di patrimonio perduti.

Un'odissea ora trasformata in uno spettacolo di denuncia realizzato da Milo Vallone intitolato «Nove petali di loto», che sarà presentato in anteprima mercoledì 22 al teatro Massimo di Pescara e arriverà a Milano il 18 novembre.

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