Due uomini imputati di un solo reato: il primo ha corrotto il secondo, dicono gli inquirenti. Quello che si sarebbe fatto corrompere però viene assolto: non c'è nessuna prova che abbia incassato neanche un euro. L'altro, quello che lo avrebbe corrotto, invece viene condannato. È una contraddizione macroscopica tra due sentenze definitive: può accadere, quando ad occuparsi dello stesso fatto sono giudici diversi. Proprio per questo il codice prevede un rimedio: la revisione del processo, che il condannato può chiedere «se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile».
Peccato che il condannato si chiami Gianluca Guarischi, ex consigliere regionale di Forza Italia, arrestato dalla Procura di Milano con clangore di telecamere otto anni fa, condannato con sentenza definitiva per un reato che ora si scopre non essere mai esistito. Dargli una nuova chance di dimostrare la propria innocenza rischiava di smontare l'ultimo pezzo dell'inchiesta rimasto in piedi. Così tre giorni fa la Corte d'appello di Brescia ha respinto l'istanza di revisione avanzata dal legale di Guarischi, Silvia Oddi. Adesso c'è l'ultima strada del ricorso in Cassazione: la cui decisione, qualunque essa sia, arriverà quasi certamente quando il condannato avrà finito di scontare la sua pena.
È una situazione surreale, che trae le sue origini nelle ore convulse del marzo 2013, quando Guarischi viene arrestato dalla Guardia di finanza. È il nuovo tassello del cerchio che la Procura sta stringendo intorno a Roberto Formigoni, presidente della Regione. «Vogliono che faccia il nome di Roberto, se li accontento in due giorni sono a casa» dice Guarischi alla figlia che va a trovarlo a San Vittore.
Ma Guarischi quel nome non lo fa. Con Formigoni è amico da una vita, cene, bisbocce, vacanze insieme alle compagne. Ma di averlo foraggiato per ottenere che la Regione finanziasse l'acquisto di un macchinario da parte di un ospedale Guarischi lo ha sempre negato. Nei nove mesi a San Vittore, nell'altro anno di carcere dopo la condanna definitiva a cinque anni, nel periodo ai servizi sociali.
Il problema è che a negare non sono solo Guarischi o Formigoni. Il processo si spezza in due, quello all'ex governatore approda a Cremona. E qui arriva l'assoluzione «perchè il fatto non sussiste». É accertato, dicono i giudici, che Guarischi lavorasse per i produttori del macchinario, e che usasse i suoi rapporti con la Regione per piazzare il prodotto; e la ditta lo pagava per questo. Ma le tesi dell'accusa secondo cui Guarischi girava poi parte dei soldi a Formigoni vengono liquidate come «mere deduzioni non corroborate da alcuna sicura prova». La Procura ha usato come testi d'accusa i fratelli Lo Presti, titolari della ditta produttrice: ma «nessuno dei due testi ha saputo affermare con certezza che le somme versate a Guarischi fossero destinate ad essere versate ulteriormente da Guarischi a pubblici ufficiali, nè di tali eventuali dazioni o quantomeno promesse vi è altra prova certa». La sentenza di Cremona smonta anche il teorema che la gara d'appalto fosse stata fatta su misura per favorire la ditta rappresentata da Guarischi: «Non è un favoritismo: è solo la logica conseguenza della presa d atto che della circostanza che un certo macchinario poteva essere fornito solo da una certa impresa». E «i numerosi contatti tra Formigoni e Guarischi sono, in mancanza di prove che conducano a soluzioni contrarie, da collocarsi nell'ambito di un rapporto di amicizia di lunga durata». Formigoni viene assolto, su richiesta anche del pubblico ministero.
E la Procura generale di Brescia non fa ricorso: incredibilmente, è la stessa Procura che ha chiesto che la revisione chiesta da Guarischi fosse dichiara inammissibile. D'altronde, perchè accontentarsi di una verità quando se ne possono avere due?
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