Il conflitto d'interessi di Sensi, portavoce double face

Lavora per Renzi e il governo. Finché Gentiloni era «a tempo» nessun problema, ora... ...

Il conflitto d'interessi di Sensi, portavoce double face

Roma Il mondo della comunicazione non ha problemi di conflitti di interessi. Accade sovente che esponenti di opposti schieramenti si rivolgano alla medesima agenzia di pubbliche relazioni, un po' come se Coca Cola e Pepsi utilizzassero lo stesso art director. Mao avrebbe detto che non importa il colore del gatto, conta che sappia prendere i topi. Eppure alla regola c'è un'eccezione ed è rappresentata da Filippo Sensi, l'inventore del renzismo rimasto a Palazzo Chigi a «far la guardia» al premier Paolo Gentiloni.

Fino a poche settimane fa nessuno avrebbe notato la differenza tanto questo esecutivo poteva considerarsi naturale prosecuzione «a breve termine» del precedente. Ma da quando si è compreso che la scadenza del governo sarà quella della legislatura molte cose sono cambiate anche per l'ottimo Sensi, «condannato» a fare da portavoce double face. Da un lato, egli deve continuare a essere il «motore» della campagna per la segreteria Pd di Renzi che, come dichiarato dal suo collaboratore Tommaso Nannicini, sarà più ispirata ad Antonio Gramsci che al riformismo liberal. Insomma, niente aumenti Iva e più assicurazioni contro la disoccupazione per tutti. Dall'altro lato, Sensi deve continuare a veicolare le informazioni per conto di un esecutivo comunque improntato a un sobrio europeismo vecchio stampo. Anche con qualche perfido contrappasso. Ad esempio: la flat tax per i Paperoni stranieri fu un'invenzione renziana, ma oggi diventa lo slogan del gentilonismo dal volto umano che propugna strette sull'Iva (e che probabilmente aumenterà le tasse perché così vuole Bruxelles), ma non vuole spaventare i ricconi. Quel Gentiloni che chiede all'Europa di cambiare, ma non sbatte i pugni sul tavolo irritando tutti come faceva Matteo.

Un imbarazzo materiale oltreché ideologico: basti pensare al comunicatore che «apparecchia» l'intervista di Renzi a Otto e mezzo e poi due giorni dopo coordina quella del premier a Domenica In. Non è semplice studiare le strategie comunicative per la kermesse del Lingotto che inizia oggi e «tenere a bada» un governo che, tranne la guardinga Maria Elena Boschi, si è fatto molto più sbarazzino rispetto a quando c'era Matteo. Due esempi su tutti: il ministro dello Sviluppo Calenda che a ogni uscita pubblica non fa che sbugiardare la politica renziana dei bonus o il ringalluzzito titolare del Tesoro Padoan che non teme più l'uso di parole come spending review. Era tutto più facile tre anni fa quando Sensi poteva chiedere a Gentiloni, semplice deputato, di fare il portavoce del governo intrattenendo alcuni giornalisti coreani. A quei tempi Gentiloni non poteva dire di no.

E forse non è un caso che il presidente del Consiglio abbia portato con sé dalla Farnesina la fidata Flaminia Lais, sua storica collaboratrice, diventata da tre mesi la responsabile della comunicazione di Palazzo Chigi.

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