Conte-Salvini, il grande gelo Tegola Di Maio sul premier

Su conti e Ue le distanze restano siderali. Ma la scelta M5s di schiacciarsi sulla Lega «zavorra» Palazzo Chigi

Conte-Salvini, il grande gelo Tegola Di Maio sul premier

Il quadretto dell'allegra famiglia del Mulino Bianco dura una manciata di minuti. Con Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti che, a favore di taccuini e telecamere, celebrano l'approvazione in Consiglio dei ministri del decreto Sicurezza bis. Poi, in un attimo, sulla sala stampa di Palazzo Chigi piomba nuovamente il grande gelo che ormai da mesi caratterizza i rapporti tra il leader della Lega e il premier. Un disagio palpabile, fatto di confidenze ostentate e di silenzi che pesano più di mille parole. Su tutti quello di Salvini. Che, incalzato da chi gli chiedeva se Conte avesse «carta bianca» per trattare con Bruxelles, si limita a guardare in basso come chi non ha sentito la domanda.

D'altra parte, resta questo il cuore del problema. Con che spirito e quanta disponibilità alla trattativa sedersi al tavolo con l'Unione europea per evitare una procedura di infrazione che proprio ieri ha avuto il disco verde del Comitato economico e finanziario dell'Ue, un tavolo tecnico che riunisce i direttori generali del Tesoro degli Stati membri. E sul punto, è del tutto evidente, le linee continuano a divergere. Conte e Salvini, infatti, seppure districandosi nelle pieghe del politichese e di una cordialità di facciata, parlano lingue completamente diverse. Il premier è costretto a rivendicare il suo ruolo. «Io sono il presidente del Consiglio, che delega devo avere per trattare con l'Ue? Se non ce l'avessi sarei un premier sfiduciato», ripete per ben due volte Conte. Quasi a volersi autoconvincere anche lui. Salvini glissa e mette in fila tutti i punti cardine del suo approccio all'Europa. «Siamo il governo del cambiamento anche nei rapporti con l'Ue, non andremo a Bruxelles con il cappello in mano», la butta lì. E ancora: «Dal 2008 ad oggi abbiamo seguito le prescrizioni dell'Europa e guardate come è finita. Non ci faremo dare lezioni». Non proprio, insomma, la linea dialogante di Conte. Che rimanda alla riunione in programma questa mattina a Palazzo Chigi con i due vicepremier, il ministro Tria e i tecnici del Mef per ragionare su come evitare la procedura d'infrazione.

Ma anche i silenzi del premier hanno un peso. Come quando si guarda bene dal commentare Salvini che rilancia nuovamente la tassa piatta. «Flat tax e taglio delle tasse - dice - sono l'unico modo per ridurre il debito». Esattamente il contrario di quanto va dicendo Conte da giorni e di quanto sostiene pubblicamente Tria. Non una divergenza da poco. Come quella sulla nomina del ministro per gli Affari comunitari. La Lega ha lanciato il nome di Alberto Bagnai, presidente della commissione Finanze del Senato e antesignano dell'uscita dell'Italia dall'euro. Insomma, un segnale inequivocabile per Bruxelles. Salvini non fa il nome di Bagnai, ma dice che la casella vacante dopo il passaggio di Paolo Savona alla Consob va riempita «a breve» perché in un momento simile c'è bisogno di «presidiare l'Europa h24 e sette giorni su sette». Ora, è noto che il ministero in questione ha un peso davvero residuale. E dunque l'unico obiettivo di Salvini è quello di alzare l'asticella. Anche in risposta a Conte che, giorni fa, derubricava la questione a cosa di poco interesse visto che a trattare con l'Ue, diceva, sarà lui.

In verità, mai come in questi giorni il premier appare debole. Una fragilità dovuta alla scelta di Luigi Di Maio di schiacciarsi completamente su Salvini. Il leader M5s, infatti, pur di restare aggrappato al governo - e a una poltrona di vicepremier che non rivedrebbe mai - è pronto a concedere alla Lega qualunque cosa.

E siccome sono stati i Cinque stelle a indicare Conte per Palazzo Chigi, è del tutto evidente che questa condizione di prostrazione di Di Maio si riversa direttamente sul premier. Che, di fatto, con il Movimento politicamente in ginocchio, ha margini di manovra pari allo zero.

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